L’omonimo album arriva quasi sempre per una band e la scelta di dove fare cadere il ‘self-titled’ all’interno della propria discografia spesso se non sempre dice molto del cammino artistico e i Pop Evil scelgono il quinto album per questo appuntamento. Alcuni iniziano la loro carriera con l’album che porta per titolo il loro nome altri invece come i Pop Evil colgono l’occasione di dare al loro cammino un’importanza simbolica per rimarcare un cambiamento di rotta, un modo per dire da ora in poi i Pop Evil sono questi.
In realtà non c’è un cambiamento epocale di rotta ma un rimarcamento di uno stile che era chiaro all’inizio ma che poi si è sfumato nel corso dei quasi diciotto anni di carriera. Un po’ heavy, un po’ pop, i Pop Evil decidono di ripartire con il manifesto e il volto femminile della nuova batterista bionda Haylay Cramer, una che picchia forte ed è la protagonista del video del singolo di lancio “Waking The Lions”, un risveglio di fatto del nervo più heavy del gruppo.
Risveglio che dura per tutta la prima parte dell’album per poi riaddormentarsi nella seconda. Perchè oltre al singolo anche “Colors Bleed” vanta un riff e un drumming deciso e pesante, con la voce di Leigh Kakaty che pur non essendo un fenomeno ha una capacità camaleontica di passare dall’urlo alla melodia alla simil rappata offrendo al suono del gruppo una gamma molto varia su cui affondare i riff. Anche “Ex Machina” si può inserire nel mondo delle migliori produzioni alternative del momento, è convincente per energia e idee. Non si molla fino a “Art Of War” dove Leigh rappa nel verso con discreta espressività e la canzone ha un ritmo forsennato senza soste.
I Pop Evil però sembrano aver deciso che una cambiale radiofonica vada pagata a tutti i costi, forse timorosi che così facendo si perda il treno che conta del mercato americano. Peccato perché ci si stava divertendo, mentre da qui in avanti i pezzi sono fatti per ascolti estemporanei e fine a se stessi inseriti nei calderoni radiofonici. “Be Legendary” è un pezzo che funziona ma che rompe la tensione salutare ed heavy dell’inizio. Se ti sei comprato il cd una canzone così può dare solo disappunto. “Nothing But Thieves” è l’unico pezzo di spessore in questa seconda parte pop, con la sua melodia accattivante e un vago sapore eighties. Per il resto niente colpisce, dalla scialba “A Crime To Remember”, la ballata alternative piacevole ma che nulla di nuovo dice “God’s Dam” così come poco comunica la finale “Rewind”.
I Pop Evil sono in continua crescita e si sentirà sempre più spesso di loro ma l’impressione che vogliono dare è quella di fare come mille altri gruppi del genere, di non sfondare il mercato ma accomodarsi al suo interno docili assecondando le sue regole. L’album è fatto per metà per avere una sua identità e carattere, per metà invece come recipiente di possibili singoli per la facile fruizione, quella che non ti porta a chiederti chi sia quel gruppo che stai ascoltando alla radio. Una canzone che esiste e basta, come milioni di altre.