Li abbiamo aspettati tantissimo. Ora probabilmente non siamo nemmeno più in grado di crederci a un loro buon cd. I Queensrÿche, a più di vent’anni di distanza dal loro ultimo album di livello, riescono invece nell’impresa impossibile di rialzare davvero la testa.
Come? Con una convinzione assolutamente percepibile all’interno delle tracce di “Condition Human”, quattordicesimo (o giù di lì, dipende come considerate il primo solista di Tate di due anni fa) disco di una delle migliori heavy metal band degli Ottanta (e anche dei primi Novanta). Niente di clamoroso intendiamoci, ma trovarsi ad ascoltare una manciata di pezzi in cui l’impatto, le linee melodiche e il CANTATO sono proprio quelli che vogliamo da loro, era tutt’altro che cosa scontata.
I primi brani sono quanto di più ottantiano possibile (chi non diventa matto sull’opener e relativo ritornello è un poser). I chorus, le melodie e le atmosfere che si respirano nelle canzoni trainate dall’assurda ugola di La Torre faranno spesso inumidire gli occhi ai nostalgici. Il vero limite (oltre a un’inascoltabile “Just Us” ma vabbè), è che questo lavoro sarebbe dovuto uscire almeno a inizio anni Duemila, per lasciare intatta quell’aura di intoccabilità che, dopo “Promised Land” (1994) è andata progressivamente scomparendo release dopo release.
La speranza tuttavia è l’ultima a morire. Le partiture chitarristiche e la voglia di suonare che sprigionano tutt’oggi i magnifici vecchietti Wilton-Rockenfeld-Jackson, sono un viatico eccellente fino al prossimo giro. Per ora aspettiamo i ritrovati ‘ryche dal vivo, luogo dove hanno già dimostrato di dominare ancora alla grande.