The Heavy Countdown #3: Schammasch, Empire, Visions, Caliban

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1
Schammasch – Triangle
Qui non si scherza. Gli svizzeri Schammasch hanno pubblicato un disco triplo, “Triangle” appunto, della durata complessiva di 90 minuti, che sonda tutte le sfumature del black metal. La prima parte, “The Process of Dying” è la più prettamente oldschool, ma le vere perle arrivano nella sezione intermedia, “Metaflesh”, che vira verso l’ambient e i riff floydiani (“Above the Stars of God”). A questo punto la transizione verso la terza e ultima parte, “The SupernalClean Light of the Void” è più che naturale: ambient al 100%, un incubo senza fine. E nell’ultimo brano, “The Empirean” conflagrano le triplici nature di “Triangle”.

2
Empire – Our Simple Truths (EP)
“Our Simple Truths” segue di due anni il debutto degli Empire. Come spesso succede per le cose semplici, il nuovo EP della band britannica è diretto, fresco e di qualità, ma allo stesso tempo difficile da ascrivere a qualsiasi categoria. Si parte dal riff potente ma dannatamente catchy di “Hands and Tongues” per finire con la melodia pop di “Sweet Apollo”, che ricorda molto da vicino gli Incubus. E se ciò non vi basta, il vocalist Joe Green è un vero drago.

3
Visions – Shake The Earth
Paladini della scena tech metal inglese, i Visions arrivano al terzo full length con una verve del tutto rinnovata. “Shake The Earth” è pieno di colore e calore, energia ed emozione, ed è un lavoro accessibile ma mai scontato (ascoltate “Korma”, per fare un nome). La titletrack, con i suoi arpeggi e le melodie killer, che si trasformano in aggressione sonora sul finale, sono una piccola perla del genere.

4
Abscendent – Decaying Human Condition
Alla prima prova in studio, i nostrani Abscendent danno prova del loro valore. Il sound massiccio arriva dritto come un pugno alla bocca dello stomaco, variando dalla velocità del thrash, alla potenza del death, alla violenza del modern metal, il tutto suonato da ottimi musicisti.

5
Binary Code – Moonsblood
Sette anni sono tanti. Dal debutto del 2009 i Binary Code hanno completamente cambiato pelle, e ora, grazie anche all’ingresso in line-up del vocalist OdedWeinstock, sono pronti a confrontarsi con i mostri del genere, tipo i Gojira. Atmosfera e violenza (prendete la titletrack e “Trees 100ft Underwater”) sono le contraddizioni in termini presenti in “Moonsblood”, incredibilmente riuscite ed efficaci. I Binary Code hanno la stoffa giusta, basta che non ci facciano aspettare altri sette anni per un nuovo disco.

6
Harbinger – Paroxysm (EP)
Se per parossismo si intende uno sfogo di rabbia estrema, allora gli inglesi Harbinger hanno fatto davvero centro. Se proprio vogliamo etichettarli, il loro progressive deathcore accontenta un po’ tutti, spaziando dal blast beat al breakdown, alle melodie ben definite (vedi “Falsifier”). Certo, il rischio minestrone è dietro l’angolo, ma non è il caso di “Paroxysm”, che riesce a mischiare sapientemente tutti gli ingredienti, senza omologarli ma anzi, valorizzandoli uno a uno.

7
Rotten Sound – Abuse to Suffer
Come suonare sempre freschi nonostante i limiti del grindcoree sette album? Chiedetelo ai Rotten Sound. A loro modo i riff sono catchy, ma si macina, eccome, e non si fanno prigionieri. La band finlandese sembra ancora più sporca e cattiva del solito, e l’apoteosi grind con venature sludge di “Extortion and Blackmail” ne è la prova schiacciante. Morale: non fate incazzare i Rotten Sound.

8
Phazm – Scornful of Icons
Che simpatici burloni questi Phazm. Se ci illudono di aver cambiato rotta con i riff orecchiabili e corposi di “Ginnungagap”, opener di “Scornful of Icons”, disco fresco di stampa della band death ‘n’ roll francese, tutto il resto in realtà è più velocità che sostanza, eccezion fatta per la titletrack, una piccola perla di ansia blackeggiante.

9
Karma to Burn – Mountain Czar (EP)
“When you have to shoot, shoot, don’t talk”: l’intro di “Sixty-Three”, l’ultimo brano di “Mountain Czar”, è un compendio molto efficace di questo nuovo EP dei Karma to Burn, che a sua volta riassume alla perfezione la carriera degli stoner statunitensi e la chiave del loro successo, la semplicità e l’immediatezza. Pochi riff, semplici e diretti, ma buoni.

10
Caliban – Gravity
A difendere il fortino del metalcore duro e puro ci pensano i Caliban, band teutonica con alle spalle 20 anni di onorata carriera e 10 LP, incluso il nuovo “Gravity”. Il sound è sempre quello che li contraddistingue dagli inizi, e i pezzi, a partire dalla opener “Paralyzed”, sembrano scorrere in un flusso unico. Ma non necessariamente l’omogeneità è un punto a sfavore. Soprattutto se spezzata da brani dall’approccio più mainstream (vedi “brOken”).

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