Scott Weiland and The Wildabouts – Blaster

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Dite la verità: quanti di voi si aspettavano un lavoro valido da Scott Weiland? Le sue vicissitudini hanno seriamente minato la sua credibilità artistica e umana. Licenziato da Slash e i Velvet Revolver, cacciato dagli Stone Temple Pilots con i quali ha scritto pagine di storia musicale negli ultimi venti anni, sembrava una di quelle storie senza lieto fine. Un’ennesima anima persa, divorata dai demoni del rock.
Invece, quest’anno, Scott decide di fare tutto quello che occorre per rimettersi in carreggiata. Ingaggia una band per garantire freschezza alla sua musica e con i Wildabouts (non è un nome fenomenale?) si costruisce in piccoli club, concerto dopo concerto, una nuova credibilità artistica. Dà alle stampe “Blaster”, un album accolto da freddezza e molto scetticismo. Ma fatto suonare, questo lavoro degli “Scott Weiland and the Wildabouts” suona diretto, fresco, onesto, e tremendamente rock and roll. Tutti i fan degli Stone Temple Pilots faranno un sorriso a risentire la voce calda e irriverente dei tempi andati in “Modzilla”. “Hotel Rio” riporta alle atmosfere di “Tiny Music From the Vatican Gift Shop” mentre l’irresistibile “Athemyst” è il pezzo migliore che le sue ugole abbiano espresso dai tempi di “Purple”. Molto piacevoli anche “Parachute”, la ritmata “When She Moves” e l’incantevole ballata “Circle”.

Non è un album capolavoro ma è un lavoro sincero e una dichiarazione d’amore nei confronti della musica e di chi non ha mai smesso di credere in lui, nonostante tutti i ruzzoloni della sua carriera.
Trattandosi di Weiland, ovviamente, non tutto va per il verso giusto. Le ultime notizie arrivate dal fronte purtroppo non sono buone: il chitarrista dei Wildabouts muore giovane pochi giorni fa, il giorno dell’uscita di “Blaster”, mentre al termine di uno degli ultimi show della band il cantante statunitense si è esibito in un comportamento irrispettoso nei confronti dei fan presenti al concerto, insultandoli pesantemente in evidenti condizioni di alterazione. E’ e rimarrà sempre un dannato, ma i suoi demoni li accetta e li cavalca nel segno del rock. Oggigiorno è pieno di cantanti che fanno 300 date all’anno e sono delle macchine senza sbavature, ma messi tutti insieme non fanno un mignolo della personalità che ha Scott. Long live and rock and roll.

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