Ma cosa stanno combinando gli Sleep Token?

La vita è fatta di contraddizioni. I momenti più belli, quelli peggiori, le giornate felici e quelle più cupe, si sommano formando la nostra psiche, in una continua evoluzione in cui non esistono compartimenti stagni. Così come non ha senso perdere il senno cercando di incollare etichette sul puzzle della nostra esistenza, vale lo stesso per la musica degli Sleep Token e per tutto il mondo che gravita attorno a questo misterioso collettivo.

Le informazioni sulla band sono poche e confuse (cercare dettagli sui Nostri è un po’ come tentare di risolvere il mistero di Stonehenge, giusto per fare un esempio non troppo lontano dall’immaginario degli Sleep Token). Non sappiamo neanche chi siano, quanti siano. L’unico membro riconosciuto è Vessel, timida creatura dotata di una voce meravigliosa che si cela dietro una maschera ricoperta di rune. Per molti fan, anzi forse sarebbe meglio dire “worshipper” (arriviamo tra un attimo alla spiegazione di questo termine), il toto-identità di Vessel è uno degli argomenti più discussi su Reddit. C’è chi pensa sia Dan Smith dei Bastille, chi invece Sam Smith, Hozier, oppure ancora Michael Lessard dei Contortionist.

Mentre non trapela alcuna soffiata attendibile, il nostro Vessel si è dichiarato veicolo di una divinità che porta il nome molto evocativo di Sleep. Ed ecco che qui si spiega la parola “worshipper”, letteralmente “adoratori”, adepti a un culto che per ora si basa su due EP (“One” e “Two”, pubblicati tra 2016 e 2017) e su una manciata di canzoni sparse, e che tra non molto avrà la sua Bibbia, ovvero il primo full-length degli Sleep Token, “Sundowning”, in uscita il prossimo 22 novembre.

“The Night Does Not Belong To God”, primo singolo e opener del debutto discografico dell’enigmatica formazione è stato pubblicato il 20 giugno 2019, il giorno del solstizio d’estate, il momento in cui il sole è più alto sul cielo (di Londra, si legge sul sito della Spinefarm Records, l’etichetta dei Nostri appunto, quindi presumiamo siano inglesi). Ogni due settimane, al calare del sole, seguendo l’andamento delle stagioni e il sacrificio dell’estate a favore dei mesi più bui, verranno pubblicati tutti i pezzi del disco fino ad arrivare alla release date, il giorno del “Sundowning” appunto. Oltre a una spiegazione prettamente astronomica, “Sundowning” è il termine inglese usato per una particolare condizione psichiatrica, durante la quale i pazienti che ne sono affetti, vedono un acuirsi dei loro problemi mentali proprio mentre il sole sta calando, o appena dopo. “La notte non appartiene a Dio”, per l’appunto.

A oggi, abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare 6 dei 12 brani presenti nel primo album degli Sleep Token, e pur essendo ancora prematuro sbilanciarsi a parlare del lavoro nel suo complesso, alcuni indizi e molte intenzioni di Vessel e compagni ci appaiono molto chiare. Se i precedenti EP erano il “test” da cui partire per farsi conoscere, lasciando il segno con il loro misto tra indie alla Bon Iver e un djent/progcore alla Tesseract, “Sundowning” è l’occasione per passare al livello successivo, spazzando via ogni confine tra generi, flirtando con l’hip-hop e con il pop-rock simil Imagine Dragons (ascoltate “Dark Signs” e “Higher” e capirete). Crossover, si chiamava qualche tempo fa, e anche oggi ha senso rispolverare questo termine riferendosi agli Sleep Token e alla loro “guerra dei mondi”. Il mondo della musica suonata e di quella prodotta, tenuti insieme da una sensibilità moderna e da una conoscenza altrettanto al passo con i tempi delle attuali tecnologie.

“Sundowning” non verrà capito dai rockettari che esaltano Post Malone e il suo featuring con Ozzy (come da molti altri non per forza fan di uno o dell’altro artista, o di entrambi), ma ce ne faremo una ragione. La sensibilità degli Sleep Token si rivolge a chi è in grado di cogliere che l’evoluzione della specie nell’era della playlist passa per forza di cose per queste scelte stilistiche, che appaiono forzate per chi non ha tempo o voglia di approfondire il lavoro di ricerca che sta dietro a queste composizioni, vera dimostrazione di coraggio e innovazione nell’intraprendere un’opera di contaminazione senza dimenticare il cuore del rock, che risiede nella perizia tecnica e nell’esecuzione. Proprio quelle contraddizioni di cui si parlava in apertura.