Quasi tre anni fa, vedeva la luce “Polaris”, l’album più “accessibile” dei Tesseract. Oggi, dopo una lunga attesa intervallata da singoli e indizi, i Nostri danno alle stampe “Sonder”. Prima di scavare a fondo in un disco che insieme ai due episodi di “Automata” dei Between the Buried and Me è destinato a dettare il trend delle prossime produzioni progressive metal, occorre sottolineare un fatto molto importante: “Sonder” è il secondo lavoro consecutivo con la stessa line-up, una notizia per una formazione che, negli anni, è stata piuttosto irrequieta, soprattutto in termini di vocalist. E si sente. Infatti possiamo dire senza remora alcuna che la quarta opera della band di Milton Keynes è la più coesa e completa della loro carriera.
E poi, anche un concept potente e universale aiuta a tenere le fila di un discorso estremamente complesso. Per chi ancora non avesse letto interviste e recensioni dei nostri colleghi internazionali, “Sonder” è un termine inventato da John Koenig, mente che ha partorito il “Dictionary of Obscure Sorrows”, una raccolta di parole inesistenti in inglese ma che cercano di colmare alcuni vuoti linguistici, identificando emozioni e sensazioni indescrivibili. “Sonder”, in soldoni, starebbe a significare il realizzare che siamo circondati da individui che vivono vite complesse e reali esattamente come la nostra, e che facciamo parte di un disegno infinitamente più grande di noi. Solo a pensarci gira la testa.
Ma i Tesseract non si sono persi d’animo, e cercando di indagare questo concetto hanno costruito “Sonder” su un’alternanza quasi matematica tra momenti riflessivi e arrabbiati, rispecchiando l’ira, la frustrazione, il dolore, la rassegnazione, l’accettazione e una serie infinita di emozioni che derivano dalla comprensione di quanto piccoli, soli e insignificanti siano gli esseri umani, se paragonati al meccanismo che fa funzionare l’Universo. E anche raggruppando in un unico disco tutti gli elementi distintivi dei tre full-length precedenti. In questo lavoro infatti ritroviamo l’energia di “One” (tanto che il vocalist Daniel Tompkins rispolvera gli harsh vocals, come in “King”), le atmosfere oniriche e ambient di “Altered State” (vedi “Orbital”) e la maggiore accessibilità di “Polaris” (riconoscibile in “Luminary”). A proposito di “Polaris”, sarebbe stato facile rimanere nella comfort zone di questo album, ma per una band che storicamente non ha mai accettato compromessi, non è un’opzione percorribile.
Ecco che quindi con un coraggio che a molte formazioni “giovani” manca, i Nostri si buttano in un lavoro che ripaga la fatica e il tempo spesoci sopra, risultando in un’opera sfaccettata e impossibile da archiviare con un ascolto distratto. Se proprio dobbiamo trovarci un difetto, soprattutto per un fan digiuno da tempo di materiale inedito, forse è la durata ridotta, che sfiora appena la quarantina di minuti. Ma “Sonder” è un disco che è come i primi raggi di sole dopo un inverno infinito, che rilascia endorfine nonostante il mood generale e le riflessioni filosofiche che poco si addicono a una vita sempre di corsa e sempre virtualmente connessi, ma soli come non mai.