The Black Queen – Fever Daydream

the black queen fever daydream recensione

Greg Puciato, il frontman dei Dillinger Escape Plan, è noto per “fare brutto” in giro per il mondo da 15 anni e raramente lo abbiamo visto al di fuori del recinto metal-hardcore. Il suo coinvolgimento come cantante dei The Black Queen, reso noto la scorsa estate con il singolo “The End Where We Start”, ha fatto rizzare ai più le orecchie: niente urla, niente rabbia, tante linee vocali pulite e atmosfere elettroniche.

“Fever Daydream” potrebbe essere tranquillamente uscito alla fine degli anni Ottanta, un disco dove sonorità ambientali si alternano a ritmate drum machine, con l’ombra del Giorgio Moroder più pop e dei Nine Inch Nails di “Pretty Hate Machine” che aleggia su buona parte delle tracce. E non è un caso l’influenza di Trent Reznor nel disco, vista la presenza nella lineup di Joshua Eustis, coinvolto nella stesura di “Hesitation Marks”.

Difficile scegliere un brano che spicca tra gli altri, visto che è palese il fatto che l’obiettivo dei The Black Queen di pubblicare un disco completo. Canzoni come “The End Where We Start” e “Apocalypse Morning” evocano atmosfere rilassate, in netto contrasto con l’oscurità di estratti come “Distanced” e “Taman Shud”. In “Fever Daydream” trovano spazio anche capitoli più ritmati e ballabili, come l’iniziale “Ice To Never”, “Secret Scream” (con un coro che entra in testa sin dal primo ascolto) e “That Dead Cannot Touch”, che potrebbe essere uscito tranquillamente da una sessione del già citato “Pretty Hate Machine”.

“Fever Daydream” soffre della malattia di molti artisti che decidono di mettersi in gioco in generi diametralmente opposti da quelli usuali: un lavoro destinato ai fan del gruppo (che, 90 su 100, lo denigra perché non “suona come Ire Works”) ma che meriterebbe una vetrina ben più ampia. Perché il debutto dei The Black Queen è una piccola gemma, una gradita sorpresa nella musica elettronica del 2016.

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