The Contortionist – Clairvoyant

Che non ci volesse un veggente per percepire tutta l’elettricità nell’aria precedente all’uscita di “Clairvoyant” era piuttosto evidente. Ma tra il dire il fare c’è di mezzo il mare, e siccome credo poco alla magia e sono molto più concreta che in passato, ho voluto fare il san Tommaso della situazione e toccare più volte con mano questo quarto lavoro dei Contortionist onde evitare di sbilanciarmi.

Prima di parlare della musica, per capire le dinamiche di “Clairvoyant”, è opportuno fare un excursus sul campo semantico della vista, che sia reale o metaforica. “Clairvoyant”, il veggente, è infatti qualcuno che interpreta il passato, il presente e il futuro scrutandoli attentamente. Questo tema nell’ultima fatica dei Nostri appare di continuo (prendete “The Center”, in cui si ripete con una certa insistenza “do you see what I see now”).

E il refrain di “Reimagined”, il primo singolo estratto da “Clairvoyant” anticipava con fare sibillino ciò che sarebbe successo. “È tutto ri-immaginato, un tipo di linguaggio diverso (“Language” dice qualcosa?), una ripetizione, esattamente quello che aspettavi che fossi”. Insomma, come santoni contemporanei Lessard e soci continuano a camminare sul sentiero tracciato nel 2014 con il sopracitato “Language”, voltandosi certamente indietro (passato), ma  prestando attenzione a dove mettere i piedi (presente), e con gli occhi ben puntati sull’orizzonte (futuro).

Com’è facilmente intuibile da questa introduzione, “Clairvoyant” non è un album immediato e comprensibile al volo. Liquidarlo come una massa informe di suggestioni (e qui, si sprecano le critiche sul cantato monocorde di Michael Lessard da parte della stampa di settore e dei puristi) è un vero peccato. In primis perché per la prima volta davvero, e in un modo che magicamente riesce solo a loro, i Contortionist amalgamano con estrema perizia le “visioni” atmospheric prog metal con post rock, ambient e new wave, ma non finisce qui.

La vera novità di “Clairvoyant” è che, checché se ne dica, si tratta di un lavoro completo. In precedenza, ai tempi di “Language”, i Nostri non avevano i ritornelli catchy. Ora sì, basti pensare a “Reimagined”. Ma la paura (anche mia, sì) che i Contortionist dopo aver pubblicato un pezzo del genere si piegassero a dinamiche commerciali tanto in voga di questi tempi, è stata poco dopo smentita dai singoli successivi “Return To Earth” e “Absolve”, due gemme di prog contemporaneo di rara bellezza.

Per questo parlando di “Clairvoyant” si può affermare senza timore che si tratti del disco della maturità per i Contortionist. Inoltre, è il lavoro che più si avvicina all’esperienza onirica e al tempo stesso teatrale dei loro live (prendete il finale di “The Center” e capirete). Un disco in cui si gioca con sonorità retro (vedi i synth che fanno tanto Eighties in “Relapse”) e in cui, ascoltando con molta attenzione, si continua a flirtare con sonorità “heavy” (“Monochrome (Passive)”), nonostante, ma dai, non suonino più death da ere geologiche e nonostante Lessard abbia appeso al chiodo il growl da quasi altrettanto tempo.

Tracciare la via non è mai facile, ma con una saggezza fuori dal comune e una preveggenza soprannaturale, oltre a una buona dose di coraggio e coerenza, i Contortionist continuano a farlo senza passi falsi e con una rinnovata maturità. “Clairvoyant” è uno degli esempi più fulgidi di opera prog (metal) moderna. E come accade per l’arte in tutte le sue forme, non sarà lei a cercarvi e a piegarsi alle vostre esigenze, ma dovrete farlo voi, con pazienza e dedizione, ma con la certezza, prima o poi, di esserne ricambiati nel migliore dei modi.