Da qualche anno mancavano dalla scena i The Decemberists, e finalmente a quattro anni da “The King is Dead” tornano sugli scaffali dei negozi con “What a Terrible World, What a Beautiful World”, il loro settimo LP. Le tracce sono originali e piuttosto variegate; il loro è un folk più personale che tradizionale, ed è questo a renderlo interessante.
“The Singer Addresses His Audience” è una prima traccia piuttosto ironica, che funge da intro al disco. Si parla della svendita della propria arte e di un rapporto col pubblico che si è ormai infranto, e anche se non sono davvero i Decemberists a parlare si possono notare alcuni parallelismi con la storia della band.
“Philomena” è un instant classic (peraltro non l’unico del disco) e racconta di una ragazza, con toni sempre molto beffardi: «Tutto quello che volevo al mondo era vivere abbastanza da vedere una ragazza nuda / ma ho scoperto di essermi annoiato rapidamente, volevo di più, volevo di più!». “Make You Better”, rilasciato alcuni mesi prima dell’uscita del disco, è il primo singolo da esso estratto, ed è una delle tracce più interessanti. La voce principale è coadiuvata da ottimi cori, che si fondono con il piano e con la chitarra in apertura, caratterizzata da un suono semiacustico. La musica folk viene esplorata per bene, e ogni canzone ha qualcosa che la contraddistingue. “Easy Come, Easy Go” ha tocchi di country; “Carolina Low” invece è un blues, della migliore tradizione americana.
“12-17-12” è, nella sua semplicità, un pezzo molto profondo, scritto dopo aver ascoltato il discorso del Presidente Obama in seguito alla sparatoria in una scuola di Newtown, Connecticut, in cui persero la vita 27 persone, di cui 20 bambini. Il titolo del disco viene da qui: «E o mio Dio, […] che mondo terribile, che mondo bellissimo».
“What a Terrible World, What a Beautiful World” evidenzia l’ottimo songwriting che c’è alle spalle del lavoro, sempre originale ma allo stesso tempo semplice, che non eccede in virtuosismi. Un ascolto consigliato sia agli amanti del folk più classico che a quelli che preferiscono il suo lato più “indie”.
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