The Devil Wears Prada – The Act
La voglia di prendere le distanze dal metalcore tout-court era già nell’aria dal precedente “Transit Blues” (2016), e in “The Act” diventa ancora più smaccata e definitiva, e la carne al fuoco è talmente tanta, che ormai attaccare etichette ai Devil Wears Prada è un po’ come cercare di catturare un’anguilla a mani nude. In questo settimo full-length in carriera, i Nostri si divertono a giocare con spoken word (“Please Say No”), accarezzando lo shoegaze e un approccio ancora più “pop” e minimalista (“Chemical”), puntando sui clean vocals, con buoni risultati. Escludendo “The Thread”, l’episodio più estremo e legato al passato, il nuovo disco dei TDWP rappresenta l’ennesimo cambio di pelle. Non avranno una direzione ben precisa in testa, ma la creatività di questi ragazzi è davvero encomiabile.
Gost – Valediction
I Gost ci avevano lasciato l’anno scorso con l’acquolina in bocca dopo la pubblicazione di “Possessor”, quindi un ritorno così ravvicinato non può far altro che soddisfare la nostra fame della particolarissima proposta dei Nostri. Nonostante la opener “Relentless Passing” possa far pensare il contrario, tra screaming e blast beat forsennati, il resto della nuova opera dei Gost indaga maggiormente il lato synth/darkwave della formazione, suonando come versioni malatissime di New Order o INXS (“She Lives In Red Light – Devine”), andando anche a scomodare techno e gabber (“The Call of the Faithful – Faithless”). Se vi è piaciuto “Possessor” e non amate ragionare per compartimenti stagni, buttatevi a capofitto in “Valediction”.
Issues – Beautiful Oblivion
Finalmente ho capito perché gli Issues stanno riscuotendo tutto questo successo. Il loro blend tra metalcore, pop, r’n’b, elettronica ed hip hop, nonostante possa lasciare interdetti a un primo ascolto (soprattutto chi non ama biebercore e dintorni), è davvero ben riuscito. “Beautiful Oblivion”, eccezion fatta per pezzi un pelo più tirati tipo “Here’s To You” o “Tapping Out”, si butta di testa nell’easy listening, complice la versatilità del vocalist Tyler Carter (che potrebbe benissimo dare del filo da torcere sia a Bieber, che all’altro Justin – Timberlake) e il focus sul costante pulsare quasi funky del basso. A completare il quadro, immancabile la ballad strappamutande “Your Sake”. Mi piace pensare che gli Issues possano essere un ponte per molti giovani tra un genere e l’altro, insegnando che l’apertura mentale è sempre il motore della buona musica, qualunque essa sia.
Toothgrinder – I Am
Con “Phantom Amour” (2017) i Toothgrinder si erano presi un bel rischio inserendo elementi più “pop”, ma senza per questo dimenticare la proprie radici hardcore. Ora, con “I Am”, hanno seguito alla lettera il mio consiglio di un paio di anni orsono, ma purtroppo, come spesso capita con le opere di transizione, il pericolo di snaturarsi, specie per una band che in passato ha dimostrato il proprio valore e di saper dare molto di più, è dietro l’angolo. In “ohmymy” per esempio cercano di suonare alla Bring Me the Horizon di qualche tempo fa, mentre la forzatamente heavy “too soft for the scene, TOO MEAN FOR THE GREEN” sa molto di excusatio non petita. La title track invece è una buona chiusa che racchiude entrambe le nature dei Toothgrinder, ma “I Am” è un disco fatto di compromessi, che non ci si aspetta da una formazione con certi trascorsi.
Gideon – Out Of Control
Un feeling melodic hardcore permea tutto “Out Of Control” (evidente in particolar modo nella title track e “Take Me”), il quinto album dei Gideon. La band originaria dell’Alabama però non rinnega il metalcore delle origini, infarcendolo con dosi pompatissime di groove, arrivando a omaggiare pesantemente anche il nu metal, come in “Sleep” e “Low Life”, ma soprattutto nella limp-bizkitiana “2 Close”, che vede anche un interessante featuring di Drew York degli Stray from the Path.