The Weeknd – Beauty Behind The Madness

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Se l’r&b ha un “nume tutelare” sul quale scommettere l’impossibile a partire dal 2015 in poi, quello è indubbiamente il nome di The Weeknd con l’album “Beauty Behind The Madness”, ovvero uno degli acchiappascolti dell’anno in procinto di terminare.

Recuperare un disco così sfasciaclassifiche come questo era insindacabile. Parlarne era un dovere da assolvere. Non esserne esaltati, però, è un diritto sacrosanto sancito dalla costituzione non scritta degli amanti della musica. E vi spiego perché.

Il venticinquenne canadese Abel Tesfaye ci carica per un lungo viaggio oscuro costruito con beat lenti, martellanti, a volte sintetici ma sapientemente ammorbiditi da una voce in grado di far saltare i bottoni di qualunque pantalone. Questa è la sua bravura: la scelta del beat a contrasto col timbro vocale.

Difetti tanti, pregi in egual misura. Ci sono piccole perle sparse come il duetto con Ed Sheeran su “Dark Times”, che viene sostenuto proprio dai fraseggi di chitarra acustica infilati qua e là e da un Ed in assoluto spolvero vocale; c’è “Earned It”, riduttivamente conosciuta come “la canzone del film di 50 sfumature di grigio” mentre invece è un vero gioiellino di r&b elettronico; c’è naturalmente il singolone “Can’t Feel My Face”, che ci ha sbollentato gli ormoni per tutta l’estate e che nell’economia del disco spicca in tutta la sua potenza. Ci sono altri brani in grado di sostenere l’ossatura dell’album, come il duetto “Prisoner” con una Lana Del Rey perfettamente a suo agio, “Tell Your Friends”, il nuovo singolo “The Hills” che sembra pescare la voce dalla cantina… Ma la lunga tracklist di quattordici canzoni li disperde finendo per annoiare.

Il problema di questo disco è uno: poteva essere meglio di così, e fa rabbia rendersene conto in questo modo. Troppi brani, troppa ripetitività, una produzione che appiattisce il suono e non gli rende la minima giustizia reale su come potrebbe esprimersi al top delle possibilità. The Weeknd sa il fatto suo e si sente nelle scritture migliori e nei fraseggi, che richiamano i momenti più interessanti di Michael Jackson al quale indubbiamente si ispira. Solo che MJ aveva dietro Quincy Jones, mentre The Weeknd andrebbe guidato meglio nella creazione della propria atmosfera sensuale con pennellate oscure e testi sfacciatamente espliciti. L’iperproduzione di “Beauty Behind The Madness” soffoca definitivamente quello che poteva essere un disco veramente bello e ben costruito.

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