Ad un anno di distanza da “Beauty Behind the Madness” è uscito “Starboy”, il terzo album ufficiale di The Weeknd. Dopo una stagione piena di riconoscimenti, in cui il Nostro si è portato a casa un Grammy e tre platini negli Stati Uniti, i fan morivano dalla voglia di sentire nuova musica e l’artista canadese li ha ripagati con un disco capace di rispettare l’enorme hype venutosi a creare nell’ultimo anno.
In molti si aspettavano un cambio di rotta rispetto al disco precedente e in effetti c’erano tutti i presupposti del caso a farlo pensare. Il nuovo taglio di capelli, la conclusione della relazione con la modella Bella Hadid e il singolo omonimo con i Daft Punk che ha anticipato il progetto, sono solo alcuni degli aspetti che hanno dato vita all’idea di un possibile nuovo corso da parte di The Weeknd.
Tutto sommato però, “Starboy” è bene o male un disco nei suoi standard. E non è una critica, anzi. In effetti, cambiare radicalmente quando sei il migliore in quello che fai non ha tanto senso. È questo che deve aver pensato The Weeknd. Sarebbe stato come chiedere a Cristiano Ronaldo di cambiare modo di tirare i rigori, nonostante faccia sempre gol. Non avrebbe poi tanto senso. Però, una cosa in comune che hanno le star di qualsiasi categoria è la voglia di migliorarsi grazie a dei piccoli accorgimenti, il più delle volte impercettibili ma capaci di fare la differenza. E quella voglia è insita in The Weeknd.
“Beauty Behind the Madness”, come sappiamo, è stato a mani basse uno dei migliori album del 2015, ma aveva i suoi difetti. Uno su tutti, probabilmente il più evidente, la mancata coesione tra i brani. Era un album sconnesso ed escluse le hit più evidenti, come “Can’t Feel My Face” e “The Hills”, nel complesso si perdeva. “Starboy”, a differenza del precedente, nonostante diciotto brani nel 2016 siano uno spauracchio per molti è un album coeso e piacevole da ascoltare tutto d’un fiato. In più, ha la rara dote di non avere riempitivi. Infatti, ogni traccia potrebbe dire la sua in solitaria e non c’è molto altro da chiedere quando si tratta di pop in questo periodo.
Sì, alcune canzoni sono riuscite meglio di altre, penso a “Reminder” brano in cui l’artista ci assicura con fiducia di essere qui per rimanere rispondendo ai critici, rei di averlo accusato di aver perso la bussola per colpa della droga. Penso a “Sidewalks” con un Kendrick Lamar così inarrestabile da farmi venir voglia di ringraziare i miei genitori per avermi fatto nascere nella sua epoca e penso a “Six Under Feet” con Future, traccia che ricorda “Low Life” una loro vecchia collaborazione, e che in questa circostanza parla di una ragazza la cui voglia di far soldi non cesserà mai, nemmeno nella sua tomba a sei piedi sotto terra. Ma anche la più debole del gruppo “True Colors”, a mio parere, farebbe la sua sporca figura in qualsiasi album mainstream.
Il paragone con Ronaldo, inoltre, è utile per un altro tema: l’essere una star. Perché The Weeknd, con “Starboy”, si è iscritto ufficialmente al tavolo dei più grandi scegliendo anche una poltrona comoda.
Partito come artista r&b, quindi se vogliamo non di nicchia ma quasi, è virato al pop mettendoci del suo. Creando un prodotto fresco, cool e appetibile. “Starboy”, come detto in apertura, ha rispettato le attese e si appresta ad imporsi a gamba tesa sul mercato.