The Heavy Countdown #32: The White Noise, Machines of Man, Dying Fetus, The Acacia Strain

The White Noise – AM/PM
Appena 34 minuti, ma un assortimento di generi non indifferente e soprattutto ben amalgamati: ecco cos’è “AM/PM”, il debutto dei texani The White Noise. Alternative, metalcore e ampie incursioni nel punk rock contribuiscono all’ottima riuscita di un lavoro spontaneo ma al tempo stesso studiato nei minimi dettagli. Prendete pezzi più heavy (“Rated R…”), altri al limite del pop punk (“I Lost My Mind (In California)”), e emozioni in slow motion (“Montreal”) e avrete l’assaggio di un disco che non vi si schioderà di dosso facilmente.

Machines of Man – Dreamstates
Di recente, abbiamo assistito a un vero e proprio boom di band progressive metal. L’asticella quindi è sempre più alta, e diventa sempre più difficile spiccare anche in questa nicchia. Ma i Machines of Man ce la fanno. Un sound barocco e intellettuale, impreziosito da vocals di livello, con evidenti eco alla Between the Buried and Me e The Contortionist, fino a sfiorare la world music in “I Am the Colossus”. Al prossimo giro, dopo aver masticato e digerito tutti questi spunti, ci aspettiamo però qualcosa di ancora più innovativo.

Sorrow Plagues – Homecoming
Gli Astronoid hanno fatto proseliti. Dimostrazione? Il secondo full-length del one man project Sorrow Plagues, impersonato dal britannico David Lovejoy. Quindi, atmosfere evanescenti e magia, post-rock e black metal. Ma a differenza degli Astronoid, il cantato è decisamente più black che etereo. Insomma, “Homecoming” segue la via del nuovo post-black, includendone tutti gli stilemi, incluso l’utilizzo del sassofono (presente nella conclusiva title track e anche nel lavoro di una nostra vecchia conoscenza, i White Ward).

Drewsif Stalin’s Musical Endeavors – Anhedonia
Incredibile ma vero, uno YouTuber ha pubblicato un buon disco. È il caso di Andrew Reynolds aka Drewsif Stalin e del suo “Anhedonia”. Il secondo lavoro del musicista si distingue per innovazione e creatività, con un sound davvero originale a metà strada tra djent e death metal classico. Ancora più fuori dagli schemi “Naught”, un pezzo eseguito solo con voce, percussioni e synth. “Anhedonia” richiede tempo e pazienza per essere compreso, ma vedrete che ne varrà la pena.

Dying Fetus – Wrong One to Fuck With
Non avendo ormai più nulla da provare al mondo, essendosi costruiti una carriera solida e lastricata di successi, i Dying Fetus sganciano una bomba assolutamente degna della loro fama, ma senza particolari guizzi di genio. E chi se li aspetta poi. “Wrong One to Fuck With” è il solito mix letale tra tecnica e brutalità, dosati in egual misura per un risultato inappuntabile. Anche se non cambierà (più) la vita a nessuno.

Municipal Waste – Slime and Punishment
Hanno già fatto sei dischi i Municipal Waste. Anche se per pubblicare “Slime and Punishment” gli americani ci han impiegato un botto. Cinque anni infatti son passati dal precedente album, arco temporale che potrebbe aver fatto perdere diversi treni a Tony Foresta e soci. Detto questo, il nuovo e cortissimo ellepì è una fucilata di Anthrax e Nuclear Assault dei bei tempi. Consigliato ai nostalgici e a chi vuole scapocciare senza troppi pensieri inutili (p.s.).

Onegodless – Mourner
Autoproclamatisi una band “HEAVYSTONERBLUESGROOVEROCKSLUDGEMETAL”, gli olandesi Onegodless danno alle stampe un debutto che sicuramente sarà destinato a spaccare qualche osso. Com’è ovvio, di pretese tecniche in “Mourner” ce ne sono ben poche, così come di voli pindarici, essendo tutto molto derivativo (Black Sabbath, Pantera e Mastodon dicono qualcosa?). Ma finché ci si diverte (e si fa divertire), tutto è lecito.

Chaos – All Against All
A quattro anni dal tanto acclamato dalla critica “Violent Redemption”, gli indiani Chaos tornano a far sentire la loro (incazzatissima) voce con questo “All Against All”. Il fulcro del lavoro sono i chiari rimandi e omaggi di slayeriana memoria, realizzati con rispettosa creatività e intrecciati a eco alla Lamb of God e Pantera, amalgamando il tutto con una sensibilità moderna e una grinta difficile da reperire in giro, soprattutto nel thrash. O in quel che ne resta.

Sworn In – All Smiles
Bellocci, tormentati, e con l’attitudine giusta: gli Sworn In sono il ritratto della band metalcore di successo. Se poi aggiungiamo venature dark sia nelle sonorità che nelle lyrics, oltre che la provvidenziale virata verso i clean vocals (già dal precedente lavoro del 2015 “The Lovers/The Devil”, in realtà), la formazione dell’Illinois è pronta per andare in orbita. E ci andrà. Ma ciò non toglie che a chi ha più di 18 anni, alla lunga, un disco come “All Smiles” possa venire a noia.

Conveyer – No Future
Terzo full-length per i ragazzotti del Wisconsin, e ci ritroviamo sempre immersi in quel metalcore imbevuto di fortissime tendenze melodic hardcore che tanto la fanno da padrone negli ultimi tempi. Se nel complesso “No Future” è più che gradevole, d’altro canto è altrettanto prevedibile. Perché è proprio il metalcore a essere prevedibile da secoli, e non è neanche colpa dei nostri Conveyer.

Separations – Bloom
Altro giro, altra band metalcore: ora tocca ai Separations con il loro secondo album in carriera, “Bloom”. Pezzi catchy da morire (tipo “Stargazer”), ma talmente catchy che ti viene da chiederti: “ma ho già sentito questo disco?”. La risposta è sì, solo che non era dei Separations, ma dei Crown the Empire, tanto per fare un nome mica tanto a caso. Detto questo, “Bloom” a parte le tastiere e gli effetti un po’ affettati ci piace, ma non abbastanza per dedicargli ripetuti ascolti.

The Acacia Strain – Gravebloom
Per essere tosto, “Gravebloom” lo è eccome. Peccato che sia pericolosamente simile a enne altre produzioni degli Acacia Strain. Il blend tra hardcore, deathcore e doom, esattamente lo stesso degli esordi di sette anni fa con “Wormwood”, ha iniziato a raschiare il fondo del barile. Certo, un cambio di rotta non è né facile né digeribile dagli hardcore fan, ma se i ragazzi vogliono uscire dal loop, può essere più che auspicabile alla prossima release.