E’ stato un bel trambusto vero? Ce lo aspettavamo, lo sapevamo che ci saremmo trovati a raccogliere i detriti dell’uragano “Fear Inoculum“. L’ombra della mitologia che circonda l’entità Tool si è abbattuta sulle nostre teste come quella famosa scena del film catastrofico “Independence Day” quando la gigantesca navicella irrompe dalle nubi e si affaccia minacciosa nella nostra realtà contemporanea, e la sua oscurità si allunga sopra i volti attoniti delle persone comuni, immerse nella loro vita quotidiana, e nei suoi ritmi. Questo enorme monolite alieno che vive un’esistenza diversa, con regole sconosciute ma ben scandite, pian piano ricopre di aspettative e di meraviglia mista ad un po’ di paura la nostra comfort zone. Dopo un mese siamo qui a riconsiderare l’evento, ripercorrendo i nostri errori e le nostre inquietudini da uomo contemporaneo alle prese con un’entità lontana come quella dei Tool.
Una cosa non sapevamo, e non di certo un’inezia. I paleontologi in visita al Jurassic Park (ancora film, d’altronde Adam Jones oltre a suonare la chitarra è anche un mago degli effetti speciali e vi dirò di più, ha anche lavorato per il film sui lucertoloni di Steven Spielberg) non sapevano come avrebbero reagito due specie così lontane nella linea evolutiva come quelle degli uomini e dei dinosauri, e noi non sapevamo come il mondo social avrebbe reagito al ritorno dei Tool. E non solo il lato social, ma tutto il contesto della Rete. Un esempio. Per la prima volta da sempre il fan del gruppo si è trovato di fronte al dilemma etico dell’album spuntato (a seguito di accadimenti magici che nessuno si è mai premurato di approfondire, semplicemente avvengono) sul web ben prima dell’effettiva uscita sul mercato. Che fare? Cedere alla tentazione? Resistere ad un assist così succoso dopo 13 anni di attesa è devastante. D’altronde l’album non cambia a seconda della data in cui lo ascolti, appurato che il file in questione era dotato di qualità egregia. Ma chi conosce i Tool sa anche l’importanza della cabala, l’importanza dell’attesa, di sottostare a delle regole e a delle tempistiche che al pari di ascoltare la loro musica ti rendono loro seguace, appartenente ad un élite, ad una setta musicale tra le più esclusive del circuito mainstream. Un modo per acquisire un bioritmo che ti consente di percepire dei messaggi subliminali che gli altri non colgono. La sensazione che seguendo i loro dettami l’assunzione dei loro prodotti sia più efficace, giusta. Come le procedure per assumere una qualche droga. Voi come vi siete comportati? La mia verità la porterò nella tomba.
Dal punto di vista social è stata un’esperienza da purga, da Notte del Diavolo. Incendi visibili dal cielo nella notte della ragione in cui andavano al rogo obiettività, percezione della proporzione, apertura mentale, mettiamoci pure senso del ridicolo e della decenza. Dopo una buona pausa di un mesetto, che comunque nella timeline vitale del gruppo di Maynard è poco più di un battito di ciglia, molti di voi si renderanno conto di una cosa che ai fan dei Tool è chiara fin dai tempi di “Aenima”: cercare di giudicare un loro album appena uscito è spreco di energie, fiato, carta, pixel o quel che volete. Anche oggi abbiamo ancora parecchie cose da scoprire su “Fear Inoculum”. Farlo con il tempo necessario e al riparo dal rumore mediatico che è esploso al momento dell’uscita è la vera sfida di questi nuovi Tool e dei loro ascoltatori vecchi e novelli. Dal loro punto di vista i quattro di Los Angeles hanno approcciato questo presente in maniera come sempre strabiliante. Non hanno dato nessun segnale di stanchezza, nessuna ragnatela tessuta negli angoli e sui soffitti, anzi. Hanno sbaragliato la concorrenza (anche una certa dominatrice dell’Universo di nome Taylor Swift) e tutta la loro discografia, di fresco affacciata alle piattaforme streaming, sta spadroneggiando con numeri e bei dollaroni. Come 13 anni fa tutti quelli che hanno uscite discografiche in questo periodo tremano perché sanno di dover fronteggiare questo gigante musicale (passati a buoni voti i Korn, vedremo i Pearl Jam). Come 13 anni fa Maynard è tornato a dettare linee guida a chi ama il canto e la sua scrittura, e così Adam Jones per i chitarristi di tutto il mondo, Justin Chancellor per i bassisti e naturalmente Danny Carey per la batteria.
Perché “Fear Inoculum” è musicalmente il meglio che si possa avere dal punto di vista tecnico. C’è il pezzo finale, “7empest”, con i suoi 15 minuti di progressione metal, che soddisferà tutti i fan del gruppo. Ma già arrivati a quel punto lo avrà fatto la title track, con lo stato di servizio più vecchio, e che infatti ha avuto il suo tempo per convincere i numerosi scettici e dettare le prime linee guida all’ascolto. Calma, aspettare, lasciarsi trasportare dalle onde che si sentono all’inizio di “Descending”. Il rapporto di amore e odio con la vocalità di Maynard penderà decisamente dalla parte positiva grazie a “Culling Voices” e al nuovo, a tutti gli effetti, classico della loro discografia “Pneuma”.
Insomma, tra un altro mese avremo un’opinione ancora diversa di “Fear Inoculum”. E così via, andando avanti, apparentemente all’infinito. Fate questo esperimento. Riascoltate “Lateralus” o “10.000 Days” e provate a ripescare la prima impressione che avete avuto quando avete messo il cd nel lettore. Ora comparate quel giudizio alla sensazione che vi dà ora, e vedete quanta lontananza c’è. Nel mio caso tanta, e questo va oltre il giudizio positivo o negativo. E’ che semplicemente i lavori dei Tool sono vivi, crescono, e non sono molto socievoli. Quindi non vi stupite, e non fatevene una colpa, se non siete andati d’amore e d’accordo da subito. Detto questo, non siete nemmeno costretti a farvelo piacere. Non perché sono famosi, o sulla bocca di tutti. Se “Fear Inoculum” non vi dà piacere musicale, non lo ascoltate. La musica deve dare benessere e al di fuori della mitologia i Tool fanno musica, e vi deve fare stare bene. Se diventa un lavoro, un impegno dovuto, questo non è il posto che fa per voi. E per carità non fatelo per moda. Mai.