Quattro anni. Tanto è il tempo intercorso fra lo spettacolare debutto dei Battles uscito nel 2007, “Mirrored” (ma la band aveva già realizzato un paio di EP), e il loro ‘sophomore’ album. Nel frattempo un paio di cose sono cambiate: se n’è andato Tyondai Braxton, impegnato ad escogitare percorsi alternativi fra classica, jazz e rock, così da tramutare i Nostri in trio. Ora il gruppo è interamente nelle mani di Ian Williams (Don Caballero), John Stainer (Helmet) e David Konopka (Lynx); di conseguenza, mancando un vocalist, la musica si muove su basi differenti, rendendo “Gloss Drop” un disco leggermente diverso dal suo predecessore. Diverso, ma ugualmente di gran qualità.
Sì, i Battles del 2011 sono forse meno inattesi, meno ‘rivoluzionari’ di quelli che negli anni Zero idearono un nuovo modo di suonare math – rock, ibridando quest’ultimo al progressive e al post – rock tramite una concezione quasi ‘strutturalista’ della composizione. Tuttavia sono ben lontani dall’essersi ‘normalizzati’, conservando quel lampo di genio che li fa essere fra i complessi più intriganti degli ultimi anni, grazie a un suono che spinge verso il futuro ma, nello stesso tempo, mantiene salde radici nel passato.
I 12 brani presenti in “Gloss Drop” furono concepiti con Tyondai ancora presente ma, dopo l’abbandono di quest’ultimo, vennero rivisti e rielaborati dai tre superstiti. E il nuovo taglio dato ad essi è chiaramente percepibile: meno uso dell’elettronica e maggior parsimonia di vocoder, per composizioni che, ovviamente, vertono più sull’aspetto strumentale, salvo i casi in cui sono stati chiamati ospiti a prestare la loro voce: ossia nel singolo “Ice Cream” (di cui è stato realizzato anche il video dell’anno) con Matias Aguayo, nella new wave mutante di “My Machines” con Gary Numan, nella sensuale bolla di sapone pop di “Sweetie & Shag” con Kazu Makino e nel finale affidato alla Giamaica aliena di “Sundome“, in cui Yamantaka Eye, courtesy of Boredoms, vocalizza sconclusionato. Il resto del disco è un itinerario futuribile che si snoda fra il math psichedelico – progressivo di “Africastle” e il minimalismo tribale di “Inchworm“, il più classico post – rock di “Toddler” e le rasoiate noise di “Rolls Bayce“, in odore di Pan Sonic, mentre in “Wall Street” si assiste ad un’esagitata orgia sonora che ribalta la serietà di certa avanguardia in uno sberleffo di fischiettii ed effetti ‘simpatici’.
D’altra parte l’ironia è da sempre stata uno dei tratti caratteristici dei Battles; la s’incontrava anche fra le pieghe di “Mirrored”, all’apparenza scientifico e asettico, e oggi è persino aumentata. Prova ne è il brano forse più significativo dell’intero “Gloss Drop”, ovvero “Futura“, incontro/scontro fra i clangori dei Kraftwerk di “Metall Auf Metall” (cfr. dal minuto 2:34) e le traiettorie oblique dei Tortoise, che anestetizzano e alleggeriscono il cupo espressionismo dei tedeschi e lo fanno decantare in una prospettiva più eterea ed astratta. Solo dei grandi possono riuscire nell’impresa di armonizzare mondi così diversi, e i Battles fanno parte di questa ristretta cerchia.
Stefano Masnaghetti
Devo assolutamente ascoltarlo! L’altro mi faceva sempre arrivare al lavoro obliquo…