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“Il Rumore Delle Cose” prosegue il discorso intrapreso nel primo capitolo dei Neronoia, “Un Mondo In Me”, e ne chiarisce ulteriormente gli intenti artistici.
Ancora una volta abbiamo a che fare con qualcosa di scomodo, di doloroso: ombre che riemergono dal passato, ricordi sgradevoli e laceranti, rumori di fondo che non si riescono a far tacere (il titolo non è affatto casuale). Non ci sono molti punti di rottura rispetto al disco precedente, anzi si potrebbero ascoltare entrambi gli album in rapida successione: a parte una maggiore componente noise, grazie alla quale i suoni de “Il Rumore Delle Cose” risultano magistralmente frantumati e sminuzzati, il flusso sonoro e i temi delle liriche rimangono gli stessi. Neronoia continua ad essere “lo specchio nel quale la felicità e il dolore vengono riflessi con la stessa, fredda indifferenza” (dalle stesse parole del gruppo): la voce di Gianni continua ad essere una diretta manifestazione dell’angoscia, i testi rappresentano la fedele cronaca di una silenziosa ed incessante apocalisse quotidiana, la musica riesce ad unire perfettamente dissonanze urticanti e liquide melodie, inquietudine e rassegnazione. Si rimane così, immersi in una pioggia eterna, privi della possibilità di scorgere all’orizzonte un improbabile lieto fine. Come per le opere di Canaan e Colloquio, anche per quelle di Neronoia l’impressione finale è sempre la medesima: di aver ascoltato qualcosa che non avrebbe dovuto esser udito, perché troppo amaro e intimo; una sorta di sacrificio sia per il compositore sia per l’ascoltatore. Ma forse si tratta di un sacrificio necessario.
Sarebbe pleonastico ribadire per l’ennesima volta lo straordinario valore del duo Berchi – Pedretti: mi limito ad aggiungere che “Il Rumore Delle Cose” è il degno successore di “Un Mondo In Me”, e che si tratta di una delle uscite irrinunciabili di quest’anno. Da avere e custodire gelosamente.
S.M.