Lo avevamo invocato, richiesto, desiderato, atteso. E finalmente ecco il primo full lenght per i friulani Démodé. “Le Parole Al Vento” lo hanno intitolato, e non è facile tirare in ballo le “parole” quando sei un sestetto strumentale. E allora viene da pensare a un marinaio un po’ zingaro che confida ad un gabbiano o alle nuvole storie, spesso inventate di sana pianta, della sua vita vissuta fra un capo e l’altro del mondo. Una sorta di Ulisse renitente alla leva e con meno sfighe da evitare, o un Braccio di Ferro senza Bruto fra i piedi e libero dalla dipendenza da spinaci.
La forza dei Démodé, e ce n’eravamo accorti ascoltando lo spendido EP d’esordio, è quella di comporre musica estremamente visiva senza curarsi del genere di riferimento. Anche in “Le Parole Al Vento” la musica passa con disinvoltura fra i vari sottoprodotti che jazz, folk e rock creano quando si mescolano, mantenendo come unici punti fermi gli strumenti (violino, clarinetto, sassofono, pianoforte, basso e batteria) e il sorriso sulle labbra.
E quindi, una volta premuto il tasto play, veniamo introdotti al disco da “Circense”, euforica e cinetica introduzione che serve da presentazione ai vari strumenti. E poi via, rapiti dalle immagini che via via i Démodé evocano, trascinandoci in un turbinio di atmosfere, note e situazioni spesso imprevedibili, alcune volte inattese, a tratti virate seppia ma sempre trascinanti. Di sicuro, quello che riesce loro più naturale è la fusione fra linguaggi diversi, fra musica colta e musica popolare, ricercati senza mai essere pedanti e accessibili senza alcuna concessione alla banalità.
Difficile e probabilmente anche inutile, a questo punto, descrivere un brano piuttosto che un altro, quindi gustatevi pure “Unobanana”, disponibile sul bandcamp del gruppo e godetevi i Démodé, senza però dimenticare che in questo disco imperdibile c’è tantissimo altro, e, per una volta, speriamo che queste non siano parole al vento.
Stefano Di Noi