Conosciamo Steven Ellison, in arte Flying Lotus, per le sue perlustrazioni nell’ambito dell’hip – hop strumentale, le quali hanno fruttato due ottimi dischi, “1983” e “Los Angeles”, opere che si staccavano dall’assunto di base per abbracciare la sperimentazione elettronica tout court. Lo conosciamo anche per il suo ruolo di produttore – Gonjasufi fra le più recenti scoperte – e per essere il pronipote di Alice Coltrane.
“Cosmogramma” è il suo terzo album, e opera una netta sterzata rispetto al suono caldo e organico di “Los Angeles”. Insomma, dimenticatevi il vecchio Flying Lotus, perché adesso il musicista ha deciso di sfruttare il proprio laptop per tentare la strada più impervia, quella della decostruzione ritmica e melodica più radicale. Parafrasando il titolo del disco, qui Steven traspone in note un cosmo impazzito, andato in mille pezzi, totalmente frantumato. Le cellule generatrici di questo maelstrom sonico sono sempre le stesse: beat hip – hop, IDM anni Novanta, jazz mutante e estetica glitch; c’è l’ombra di DJ Shadow e di Prefuse 73, ci sono le tentazioni ‘progressive’ di Aphex Twin e Squarepusher, lo stile warp colto al suo apice. Ma tutto questo materiale viene sminuzzato e ridotto a brandelli con una foga che ha dell’incredibile, facendo di “Cosmogramma” un patchwork musicale dall’effetto straniante. Questo, lungi dall’essere un difetto, è invece il punto di forza del lavoro, perché più di qualsiasi altra uscita recente rende al meglio quell’atomizzazione stilistica alla quale, oggi, qualunque espressione artistica che voglia essere d’avanguardia deve necessariamente attenersi.
Certo è difficile entrare nello spirito di “Cosmogramma”, in quest’insieme di 17 frammenti che citano decenni di composizioni sintetiche e che non si arrestano davanti a nulla. “Clock Catcher”, traccia apripista, è già uno shock: sfasamenti ritmici come se piovesse, synth impazziti e un’arpa che fluttua nel mezzo di broken beat e campionamenti distorti; “Pickled!” sposa drum’n’bass, jazz, funk e sirene industriali, mentre in “Nose Art” l’house si fa cosmica. Il disco, però, offre il suo meglio da “Computer Face//Pure Being” in avanti: questa è una delle tracce più riuscite in assoluto, ricordando i Tortoise dell’ultimo album (cfr. “Charteroak Foundation” e “Monument Six One Thousand”), ma risuonati dagli Autechre, in un tripudio di tastiere aliene e percussioni sferzanti. Poi è tutto un susseguirsi di brevi e incredibili miniature sonore che rasentano la sovreccitazione creativa: evitando di citarle tutte, sono da segnalare almeno “…And The World Laughs With You”, con ospite Thom Yorke, l’omaggio a Sun Ra di “Arkestry”, jazz cupo e misterico con una conclusione degna della colonna sonora di un film di fantascienza americano degli anni Sessanta, e ancora l’house lounge jazzata in salsa sinfonica di “Do The Astral Plane”, il jazz notturno di “German Haircut”, il rombo sotterraneo di “Recoiled”, le ‘raffinatezze’ tribali di “Dance Of The Pseudo Nymph” e i languori spaziali di “Drips//Auntie’s Harp”, e questa volta Steven pensa alla prozia.
La difficoltà enorme di quest’opera sta proprio nella sua disorganicità di fondo. Da un lato, come detto sopra, è perfetta nel rappresentare un’epoca di zapping musicale furioso, roba che i collage del crossover di un decennio fa erano nulla in confronto; tuttavia per l’ascoltatore non avvezzo a certe scelte estreme questo potrebbe rivelarsi uno scoglio insormontabile. Certo, a Flying Lotus si potrebbe imputare un’eccessiva dissipazione di idee: con le intuizioni contenute in questa emissione si potrebbero scrivere una decina di dischi. È però bellissimo scoprire una voglia così ardente di sfruttare tutte le possibilità espressive che la tecnologia di oggi è in grado di fornire. Per adesso “Cosmogramma” se la gioca con “Black Noise” di Pantha Du Prince per il titolo di miglior disco di elettronica dell’anno.
Stefano Masnaghetti