Il ritorno dei Negură Bunget non poteva essere migliore. E sì che i motivi per temere un’opera sottotono c’erano tutti. A cominciare dal recente sconvolgimento della formazione rumena, con la dipartita di Hupogrammos e Sol Faur; i due hanno messo in piedi un nuovo progetto, chiamato Dordeduh. Della line – up originaria è rimasto il solo Negru, oggi coadiuvato da altri cinque nuovi musicisti. Se a questo terremoto interno si aggiunge la recente rilettura di “Măiastru Sfetnic”, completamente risuonato e da poco ripubblicato sotto il titolo “Măiestrit” (ultima prova del terzetto prima dello split), possiamo presumere che le distrazioni presenti durante la realizzazione di “Vîrstele Pămîntului” siano state parecchie.
Eppure i nuovi Negură non hanno perso un’oncia della loro ispirazione e creatività, tanto che questo nuovo album non ha nulla da invidiare ai lavori precedenti, in termini sia di qualità sia di originalità. L’ensemble di Timişoara continua a rappresentare un felice esempio di come il black metal possa dire qualcosa di nuovo anche nel 2010, e di quanto l’evoluzione sonora condotta a partire dalle radici di questo genere riesca ad essere, nei casi migliori, stimolante e niente affatto banale.
“Vîrstele Pămîntului” prosegue sulla strada tracciata da “’n Crugu Bradului” e “Om”, allargando lo sguardo verso dilatazioni ambient e ispessendo la coltre di folk ancestrale che da sempre fa parte del bagaglio sonoro dei Nostri. Non è più possibile parlare di black metal con influenze esterne, oggi è più giusto considerare la musica del complesso come un insieme olistico di molti generi differenti, fusi l’un con l’altro da afflati progressive e liquidità psichedeliche. Tanto è vero che prima di ascoltare un passaggio black propriamente detto, con scream d’ordinanza, è necessario aspettare fino alla quarta traccia, mentre i primi tre brani sono dominati da flauti, scampanellii di greggi, tastiere ipnotiche, percussioni tribali, lente progressioni chitarristiche e violente declamazioni da parte del nuovo cantante, Corb, il quale non fa affatto rimpiangere Hupogrammos. “Le Ere della Terra”, questa la traduzione dell’originale rumeno, traspone davvero in note un viaggio a ritroso verso i primordi dell’uomo e della natura, nutrendosi di ombre e contorni indefiniti più che di nitide forme. Tanto nelle sferzate black quanto negli anfratti folk i Negură Bunget colpiscono sempre nel segno, grazie anche a un’ottima produzione, in grado di esaltare l’assalto delle chitarre elettriche in tremolo e le vibrazioni degli antichi strumenti acustici, fra i quali compaiono dulcimer e tulnic, un corno tipico della musica popolare rumena.
“Vîrstele Pămîntului” potrebbe avvicinarsi, per le atmosfere che crea e le sensazioni che riesce a provocare, a certa produzione degli Agalloch, oppure alle ultime prove degli Ensalved o, ancora, ai primi capolavori degli In The Woods…, ma quello che ha sempre reso Negru e sodali degli autentici fuoriclasse è la capacità di discostarsi da filiazioni troppo nette, di seguire un’evoluzione loro propria, impermeabile a qualsiasi moda e a qualsiasi gabbia stilistica. Soprattutto, questo album ti dà la sensazione di arricchirti realmente, mentre scorre provi un senso di pienezza che raramente un disco riesce a comunicarti. Tra le possibili uscite dell’anno, sarà difficile superarlo in ambito metal, e non solo.
Stefano Masnaghetti