L’abbiamo aspettato per quasi 14 anni (“Searching For Simplicity” è del 1997), ma tanta attesa non è stata delusa. Gregg Allman, fra i fondatori degli Allman Brothers Band insieme al compianto fratello Duane “Skydog”, è tornato con un disco di rara bellezza. “Low Country Blues” è esattamente come te lo aspetteresti, e nel nostro caso questo non è assolutamente un male. Dodici brani, quasi tutte cover, in cui il leggendario musicista rilegge la tradizione musicale americana con il tocco dei grandi.
Ruota tutto intorno al blues, interpretato in maniera quasi ‘filologica’. Nella prima parte del lavoro prevale la dimensione più spartana di questa musica: solo un po’ di elettricità a far da contorno a suoni aspri, profondi e sofferti, così com’è ancora profonda, calda e vibrante la voce dell’artista sessantatreenne. Vibrazioni arcaiche che spesso lambiscono il downhome blues, ovvero quello originario, ancora indeciso se rimanere a sanguinare in campagna o spostarsi definitivamente nella metropoli. Magistrale, in questo senso, l’interpretazione di “Devil Got My Woman” (Skip James), con la voce di Gregg che si slarga su di un semplice accordo di chitarra acustica, prima che il pezzo cresca attraverso l’irrompere di batteria e piano; e la cover di “I Can’t Be Satisfied” (Muddy Waters) non gli è da meno, con quel riff ‘saltellante’ che in pochi secondi fonde gioia e dolore in un viluppo inestricabile. C’è pero anche spazio per sonorità meno ‘austere’ e più eccitate, come in “Blind Man” e “Just Another Rider” (scritta a quattro mani con Warren Haynes, ossia il chitarrista dei Gov’t Mule), arricchite dalla sezione fiati e interpretate in ottica soul, mentre “Please Accept My Love” (B.B. King) è un lento r’n’b anni Cinquanta, da romantico ballo di fine anno. Torna il country blues con il banjo di “I’ll Believe I’ll Go Back Home”, canzone portata al successo da John Lee Hooker, prima che si arrivi con “Tears Tears Tears” all’episodio più sensuale del disco, soul blues reso ancor più languido da fiati, hammond e pianoforte. C’è posto anche per un coro femminile nel blues rock di “My Love Is Your Love”, e a chiudere tutto ci pensa una spettrale versione di “Rolling Stone” (ancora Muddy Waters) dilatata oltre i sette minuti.
Collaborano a “Low Country Blues” artisti del calibro di Mac Rebennack (alias Dr. John, alias un altro pezzo di storia), T-Bone Burnett (anche produttore del disco) e Doyle Bramhall II, per un risultato eccellente sotto ogni aspetto. Gregg e compari hanno capito tutto del blues, e si sente. Già da adesso uno dei miglior dischi di ‘americana’ dell’anno.
Stefano Masnaghetti