Ihsahn Eremita

Ihsahn Eremita Recensione

Quarto album solista per Ihsahn, che con “Eremita” conferma di potersi spingere laddove molti altri musicisti di matrice black metal non osano neppur pensare di arrivare. Dopo il netto salto stilistico avvenuto con il precedente “After“, nel nuovo disco l’ex Emperor preferisce proseguire nell’esplorazione dei territori progressivi che, sempre più, si rivelano essere la sua attuale, bruciante passione. Del black sinfonico degli albori è rimasta solo qualche traccia qua e là, mentre la maggior parte del sound ruota attorno a uno stupefacente ibrido di prog metal e avant-garde che nel corso degli anni si è fatto sempre più personale. Questa volta non ci sono più i membri degli Spiral Architetc a basso e batteria, in compenso la lista degli ospiti è molto ricca e i nuovi collaboratori provengono comunque dal circolo del moderno progressive: alla batteria troviamo Tobias Ørnes Andersen, proveniente dagli ottimi Leprous, e fra i vari featuring compaiono anche i nomi di Devin Townsend (voce in “Introspection“) e di Jeff Loomis, ex membro dei Nevermore (chitarra solista in “The Eagle And The Snake“). È però il sassofono di Jørgen Munkeby (Shining), già presente in “After”, ad imporsi con sempre maggior decisione nell’economia sonora di Ihsahn. In particolare, il suo uso non è mai fuori contesto e si integra alla perfezione nelle nove composizioni presenti nel cd.

Fra di esse, è difficile isolarne alcune e lasciarne da parte altre, essendo tutte importanti nel definire l’essenza dell’opera. Eccezion fatta per la breve strumentale “Grief“, piece giocata su cupe orchestrazioni sinfoniche e sordi accordi di piano, il resto delle tracce presenta caratteristiche comuni, pur nelle diversità di tempi e struttura. Fra quelle che richiamano gli albori sinfoblack sono certamente da citare alcune parti veloci e furiose di “The Paranoid” e “Something Out There“; al contrario, se si vuole assaporare al meglio il nuovo Ihsahn è consigliabile mettere in loop le più complesse e arzigogolateThe Eagle And The Snake” (forse la più rappresentativa dell’odierna cifra stilistica del Nostro) e “Departure“, in cui il sax di Munkeby è libero di contorcersi in tutto il suo splendore free jazz. Se poi vogliamo per forza ricercare l’apice emotivo di “Eremita”, la scelta più saggia è soffermarsi su “The Grave“, marcia funebre scandita da battiti doom metal e frantumata dagli assoli lancinanti del sax, in cui lo scream del musicista norvegese si fa ancor più cupo e straziato.

A voler trovare un difetto a tutti i costi, si potrebbe parlare di un allentamento della tensione sperimentatrice da parte di Ihsahn, poiché il qui presente LP è davvero molto simile al suo predecessore (cfr. gli intrecci ultra – prog dell’apripista “Arrival“). Bazzecole, però, se si guarda ad “Eremita” come ad un capitolo a se stante, irrelato rispetto al prima e al dopo. In questo modo è più facile apprezzarne tutte le sfumature e gustare la qualità intrinseca di un modo di approcciare il metal unico e realmente creativo.

Stefano Masnaghetti

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