Essere i L’Altra e mantenere le aspettative, dopo cinque anni di assenza dalle scene e una discografia di livello altissimo, sembrava una missione impossibile. Lindsay Anderson e Joseph Desler Costa ce l’hanno fatta senza problemi: come quegli atleti che battono il record mondiale dei cento metri col sorriso sulle labbra, o come il tuo amico secchione del liceo, quello che consegnava il compito di matematica un’ora e mezza prima di te, i L’Altra arrivano senza sforzi a quello che per altri sarebbe il traguardo di una carriera.
“Telepathic” ci regala un fluire di canzoni lento, cristallino e perfettamente in sincrono con questi primi giorni di primavera: le due voci sono in perfetta armonia, le ritmiche slow-core si impreziosiscono dei minimalismi elettronici di John Eustis dei Telefon Tel Aviv, gli arrangiamenti dei fiati e degli archi sono un capolavoro di bellezza e sobrietà cameristica. Questo disco è uno dei regali più belli che il 2011 ci abbia fatto finora.
Va ascoltato tutto e tante volte, per essere compreso in pieno: non è roba semplice, per quanto orecchiabile. Non c’è niente che si intuisca al primo colpo se non la bellezza delle melodie. Fra i momenti migliori c’è la sofferta “Either Was the Other’s Mine”, dove Lindsay Anderson, nascosta dietro un sontuoso arrangiamento di archi e piano, canta la pura malinconia e c’è la title track, “Telepathic”, fatta di quella freddezza algida, di quella rarefazione glaciale che è il segno stilistico più forte di questo duo.
E’ “Black Wind”, però, il vero fulcro compositivo e concettuale: una piccola gemma di pop orchestrale e stratificazioni di effetti che si sviluppa da un giro ipnotico di contrabbasso e glockenspiel e poi si allarga in un crescendo di voci e fiati quanto mai intrecciati e simbiotici, anche nei momenti più improvvisativi. Un pezzo che ci fa perdere nelle sue volute, nei riverberi, negli echi, e ci lascia poi, stupiti, a cantarne il ritornello come se fosse una semplice filastrocca.
La magia dei L’Altra è sempre stata questa: portare avanti la missione della complessità compositiva senza mai cozzare violentemente con la voglia di melodia, tutto questo con l’estrema naturalezza di chi non se lo pone come obiettivo, ma semplicemente non può fare a meno di farlo.
Francesca Stella Riva