Malachai – Return To The Ugly Side

Squisitamente caotici e non convenzionali, i Malachai spuntano fuori ancora una volta con un album orgogliosamente fuori moda, schizzato e decisamente interessante. Dopo l´indifferenza con cui fu accolto il loro album di debutto “Ugly Side of Love”, che finì nel calderone degli album né osannati ma nemmeno stroncati, ecco che i Malachai ritornano (nel vero senso della parola) tra gli amati cortili della loro prima creazione.

“Ugly Side of Love” si presentava così: fresco e brillante nelle sue azzeccate e divertenti digressioni psichedeliche, perennemente in bilico tra citazioni pop-funk anni 60´ ed incursioni trip-hop a fare da spartiacque tra i vari episodi di rock anfetaminico. Un trip vertiginoso, pieno zeppo di lunatiche distorsioni di umore, capace di immergersi in paludi di rarefatti misticismi per poi schizzarne fuori con l´energia deflagrante di riff mefistofelici.
In un panorama musicale che ci aveva abituati (e ci abitua tutt´ora) quasi esclusivamente alle tinte cupe e lugubri del post-punk e della dark-wave, i Malachai sembravano alieni technicolor, assurdi personaggi creati dalla mente malata e visionaria di Lewis Carroll.
Con “Return to the Ugly Side” i toni si fanno meno abbaglianti, senza però che lo spirito dei diabolici Scott e Gee si discosti troppo dalle care spavalderie del primo lavoro.
L´album si apre con le atmosfere tetre e quasi esageratamente fastose dell´intro “Monster”, ma è tutto un bluff, i Malachai non hanno nessuna intenzione di abbandonare il loro groove squinternato.
A dimostrarlo, la carica radiosa di “Anne”, che con la sua convulsa apertura di batteria torna subito a rialzare l´umore dell´album ed a regalare un perfetto mix di pop nostalgico sporcato dalle solite citazioni funky.
L´improvvisa rabbia hard rock di “Mid Antartica”, si diverte poi ad incattivire ed agitare un po’ le acque, mentre le successive eteree fluttuazioni trip-hop di “Rainbows” riportano ad una calma quasi trascendentale. Come al solito si tratta di melodie più da sentire che da ascoltare, in un saliscendi di sensazioni che i Malachai sanno gestire e manipolare con grande maestria.

Ed allora non resta che farsi trasportare  dalle folli psichedelie di “(My) Ambulance”, dagli esoterismi della bellissima “Distance”, dalle plumbee inquietudini di “Monster”, dalle citazioni jazz di “How you write”e dalla leggerezza impalpabile delle atmosfere di “No more rain no Maureen”.
Complessivamente, “Return to the Ugly Side” sembra perdere un po’ di quella spontaneità che aveva contraddistinto l´album di debutto, guadagnandone però in  consapevolezza. Se infatti “Ugly side of love” sembrava quasi il prodotto di un puro capriccio goliardico, “Return to the ugly side” tradisce una cura maggiore dei dettagli, un´attenzione alla forma che prima non sembrava essere contemplata. Qualcuno la chiama maturazione artistica.
Quel che è certo è che niente comunque impedisce ai Malachai di continuare a stupire e divertire con la loro folle estrosità vintage, sperando questa volta che anche la critica ed il pubblico più modaioli riconoscano il valore di una band che modaiola proprio non è.

Valentina Lonati

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