A quattro anni di distanza da “Black For Death”, secondo ed ultimo capitolo della “Icelandic Odyssey”, torna il dinamico duo formato da Lazare e Cornelius, meglio conosciuto come Solefald. A giudicare da questo loro settimo album, i norvegesi hanno fatto bene a prendersi una pausa così lunga, poiché la qualità della loro musica ne ha tratto parecchio giovamento. Se i due album dell’Odissea Islandese erano piuttosto monolitici e, tutto sommato, rappresentavano una battuta d’arresto nella carriera della band, “Norrøn Livskunst” è invece opera più sfaccettata e composita; in breve, migliore. E suona molto, molto più vitale rispetto al doppio predecessore, nonostante i temi siano decisamente simili (il titolo è traducibile come “l’arte del vivere norreno”, e parecchie canzoni sono scritte in norvegese antico).
Con 15 anni di attività alle spalle, è piuttosto naturale che anche i Solefald abbiano perso gran parte del loro potenziale eversivo, quindi non aspettatevi grosse novità stilistiche da questo disco. Perché non ce ne sono. Si tratta piuttosto del loro primo lavoro di sintesi, in cui il duo si sforza di fare il punto della situazione e di amalgamare in un’unica soluzione tre lustri di straordinaria creatività sonora. Il risultato è ottimo, a tratti esaltante. In “Norrøn Livskunst” convergono in insieme unitario la violenza parossistica di “The Linear Scaffold” (1997), gli spasmi schizofrenici di “Neonism” (1999), i sinfonismi acidi di “Pills Against The Ageless Ill” (2001), il bel suono tondo e barocco di “In Harmonia Universali” (2003) e, ovviamente, anche parte del solenne viking presente nel penultimo capitolo (considero “Red For Fire” e “Black For Death” come un’unica opera).
Le parti più schizzate sono da ricercarsi soprattutto in “Tittentattenteksti”, sghemba cavalcata post – black disturbata dagli assurdi vocalizzi dell’ospite femminile Agnete Kjolsrud, e in “Stridsljod (Blackabilly)”, folk – black supersonico dal piglio rock, fra gli episodi più riusciti del cd; ma pure l’electro – sinfo – black di “Vitets Vidd I Verdi”, con intrusione di sassofono e ancora il canto di Agnete, non scherza affatto. C’è poi il black più ortodosso, per quanto possa dirsi ortodosso un brano dei Solefald, di “Hugferdi”, in cui i Nostri piazzano uno dei riff più epidermici della loro intera storia, mentre la title – track inizia lieve e sognante per poi gettarsi in un alternarsi di ultra violenza e momenti pacificati, il tutto interrotto da un pazzesco assolo di puro hard rock Seventies in wah wah. Il punto più alto dell’LP è però rappresentato, probabilmente, dai nove minuti e mezzo della raffinatissima “Eukalyptustreet”, rarefatta ballad per piano e sassofono solo scalfita da brusche accensioni chitarristiche e dallo scream di Cornelius; una prelibatezza di noir nordico nella quale più di uno spunto suggerisce parentele con le atmosfere create nientemeno che da Jan Garbarek. Tutto questo ben di Dio è racchiuso fra l’afflato evocativo dell’apripista “Song Til Stormen” e della conclusiva “Til Heimen Yver Havet”, quest’ultima arricchita da dorature d’organo: sono questi i due pezzi in cui maggiore è l’influenza viking e tipicamente norvegese dei Solefald.
Con “Norrøn Livskunst” Cornelius e Lazare sono tornati al massimo della loro forma. Spicca soprattutto l’abilità con la quale hanno saputo collegare in un insieme coerente episodi molto diversi fra loro, e l’accuratezza estrema che hanno ormai acquisito nell’alternare scream e voce pulita. Episodio consigliatissimo, assolutamente da non perdere.
Stefano Masnaghetti