I Rage sono un’istituzione per qualsiasi metallone anni ottanta che si rispetti. I tedeschi hanno sparato fuori “21” dischi da studio, live di ogni tipo, collaborato con l’orchestra, fatto tour tematici, suonato un anno sì e l’altro pure ovunque nel mondo, in locali schifosi come in festival immensi, mantenendo sempre una coerenza di fondo eccezionale benchè non abbiano mai raggiunto quella popolarità enorme che probabilmente si sarebbero meritati. Peavy Wagner e compagni (il genio Smolski alla sei corde e Hilgers dietro le pelli) registrano il ventunesimo album centrando ancora una volta il bersaglio pieno. Zero orchestrazioni, zero fronzoli, nessuna concessione a rallentamenti, bensì velocità a manetta, impatto, groove e riff uno via l’altro per un heavy/power metal che oramai non si sente più da anni che ci fa godere dall’inizio alla fine. Un disco monolitico che farà riaffiorare nei più attempati memorie di vent’anni fa e potrebbe far capire ai più giovani che questi vecchiacci possono inchiodare le chiappe di una qualsiasi band moderna più attenta al look che alle sette note stesse in ogni momento.
Posizionarli nei top records è una sorta di premio alla carriera che i Rage si meritano assolutamente. Non essendo ancora in rete all’epoca della doppietta “Unity” e “Soundchaser” datata 2002/2003 (che marchiò una nuova giovinezza per un gruppo capace di incidere robe clamorose come “Trapped” (1992) e “The Missing Link” (1993) o ancora l’esperimento, perfettamente riuscito, “Lingua Mortis” del 1996), non possiamo più esimerci dal tributargli lo spazio che si meritano. Colossali.
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