Il sesto disco degli Ufomammut è anche il primo ad uscire per la prestigiosa Neurot Recordings, etichetta dei Neurosis. Un grande traguardo per un gruppo italiano, e non si può dire che il trio piemontese non se lo sia meritato. Certo, ad un mese e mezzo dalla pubblicazione, “Oro: Opus Primum” – il secondo capitolo, “Opus Alter“, dovrebbe vedere la luce prima della fine dell’anno – ha già sollevato alcune critiche: sterile riciclo di vecchie idee, sound inamovibile da troppo tempo a questa parte, originalità non eccelsa e via elencando. Fino ad arrivare alla classica accusa di “band venduta” che per questo riesce a far breccia anche all’estero. Eppure queste obiezioni ci paiono davvero ingenerose, in special modo perché vengono rivolte contro un ensemble che, volenti o nolenti, sta facendo la storia della psichedelia estrema italiana (e in piccola parte anche mondiale) e che, lungi dal vendersi a chicchessia, ha semplicemente proseguito imperterrito il proprio cammino, che in tredici anni l’ha portato ad essere un faro nell’underground dell’intera penisola. Questo, semmai, dovrebbe essere un merito, poiché sarà anche grazie a loro se, in un futuro più o meno remoto, si guarderà alla musica proveniente dal nostro paese con minor sarcasmo o compatimento.
E allora ecco che le cinque tracce dell’album, collegate l’una all’altra a formare un unico flusso di suono paranoide, fanno tremare le casse dello stereo procurando piacevoli sensazioni di estraniamento psicofisico. Che è esattamente quello che ci si aspetta di subire ascoltando un LP degli Ufomammut. Scendendo più nel dettaglio, “Oro” non è necessariamente il loro capolavoro né l’episodio più interessante della discografia del trio formato da Poia, Urlo e Vita; anzi, potrebbe persino esser visto come una sorta di astuto mix della loro discografia complessiva. Così si ha la possibilità di assaporare droni space rock, smottamenti sonici a basse frequenze, e poi ancora riff ultra dilatati, synth cosmici e pendii spiroidali in cui il magma doom/stoner/acid rock si riversa dapprima lentamente e infine esplode, detonato con forza ciclopica. La voce è quasi assente, serve solo a coagulare la furia sciamanico/ancestrale in veri e propri urschrei udibili in lontananza. Se i Neurosis non fossero partiti dall’hardcore/punk ma, al contrario, avessero indugiato con Hawkwind, Blue Cheer, Black Sabbath, Kyuss e Monster Magnet, probabilmente oggi suonerebbero così. Esattamente, i Neurosis: oltre ed esser pubblicato dalla label di questi ultimi, è innegabile che l’atmosfera carica di minaccia incombente che dispensa il primo tomo di “Oro” sia molto simile a quelle presenti negli ellepì dell’act californiano (cfr. “Aureum“), da “Enemy Of The Sun” (1993) in avanti. Tuttavia gli Ufomammut compiono il loro assalto a muscoli e neuroni degli astanti in senso più trascendente e meno disperatamente immanente, cosicché il tutto trascolora in una dimensione più surreale e meno angosciosamente iperrealistica, quasi ci si stesse guardando in un sogno.
Un disco risaputo, questo sì, ma non per questo meno bello e affascinante. Ideale per essere assaporato nelle calde notti d’estate.
Stefano Masnaghetti
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