È il momento del mare, il periodo blu di Vinicio Capossela. 19 pezzi che raccontano una storia, una distesa mobile di canzoni divise in due. Epopea del mare contenuta in 19 brani che non si contano, che sono tanti, lunghi e poco in linea con le esigenze discografiche moderne. Però come lo racconti il mare, come lo spieghi se non dandone un concetto di estensione anche nella forma.
Parte da lontano Vinicio, il mare è sempre quello, da secoli, e allora si affida ad antichi cantori, eroi della narrazione mnemonica che la tradizione classica vuole ciechi. Aedi in grado di decifrare ogni onda, racconti omerici che evocano le gesta del viaggio, quello con la V maiuscola intrapreso dal polimorfo Ulisse. Viaggio è, quindi, sfida, e, allo stesso tempo, atto di coraggio che consente di arrivare, attraverso un cammino difficile e tormentato, alla conoscenza del mondo portando seco quale effetto collaterale la conoscenza di sé stessi. Ballads dal gusto britannico di marinai barbuti con le braccia stanche e colorate. Si respira salsedine di porto antico. Si beve del rum scuro ed esotico tra bestemmie e puttane.
Il mare e l’uomo, come raccontava Hemingway, sfida dell’abisso del fuori, e del dentro, “Roso di dentro e arso di fuori dagli artigli fissi e inesorabili di un’idea incurabile”, il mare metafora dell’anima e della sua interminabile ricerca.
La Balena Bianca – Leviatano, che passa dalla Teodicea di Giobbe a Melville, ossessione onirica del Capitano Achab che diventa proscenio dell’opera Caposseliana. Non certo di un disco stiamo parlando, ma di una vera e propria odissea che incardina la sua struttura nel dittico eros e thanatos, pulsione alla vita che incontra nel suo naturale opposto il principio della propria dinamica.
Per raccontare questo sforzo di conoscenza Vinicio non contempla la solitudine, condizione invece realizzabile nel percorso intrinseco della conoscenza stessa, ma qui siamo su un altro piano, siamo nell’atto secondo, quello del racconto, e dunque Capossela si affida alle nenie del coro, che frequentemente interviene presentandosi sotto la veste di quella coscienza diffusa che già era cara alla proposta stilistica del teatro ellenico.
Viaggio che nella sua essenza porta con sé il concetto del ritorno, e della consapevolezza maturata attraverso le distanze frapposte tra quell’uomo anteriore al viaggio e quello posteriore, sempre lo stesso e allo stesso tempo profondamente segnato dal percorso intrapreso, che comunque deve avere una sua conclusione, la chiusura di un cerchio che, per quanto ampio, deve essere compiuto. Perfetto e non più perfettibile.
Ed ecco allora che emerge dalla lirica del Nostro il concetto del Nostos, “Nostos nostos, perdere il ritorno/Batti le ali, fare da remi al volo/Ali al folle volo!/Fino alle terre retro al sol e sanza gente”, i Ritorni dopo anni lontano dalle proprie terre dei paladini di Troia, 10 anni di lontananza e l’agognato volgere le prue verso casa, perché come cantava solennemente Novalis, (che non è l’ultimo cantautore berlinese) “Dove siete diretti?” “Sempre verso casa”.
Francesco Casati