Ogni uscita discografica degli U2 è un vero e proprio evento che trascende la musica stessa. I giorni precedenti alla pubblicazione di qualsiasi album della band irlandese ci si arrovella su scelte stilistiche, produttori e chissà quali significati nascosti nelle lyrics. E “Songs of Experience” non fa di certo eccezione.
La gestazione dell’ultimo lavoro dei quattro di Dublino è quanto di più travagliato si possa immaginare. Il trionfo di Donald Trump, oltre che la Brexit, hanno profondamente destabilizzato i Nostri, che non si sono sentiti di dare alle stampe il seguito di “Songs of Innocence”, anche se di fatto pressoché completato. Il disco è stato rimaneggiato seguendo l’evolversi degli accadimenti storici mondiali, ed è un’opera profondamente pessimista. Aggiungiamoci anche qualche disavventura personale di Bono, un uomo che ha avuto tutto dalla vita, ma che per la prima volta veramente (in seguito all’incidente del 2014) si trova in prima persona a confrontarsi con la morte (“I have everything but I feel like nothing at all”, come canta in “You’re The Best Thing About Me”) e il gioco è fatto.
Ma la cupezza di fondo stride fortemente con il sound di “SOE”, sulla cui produzione, come sempre, non si può dire assolutamente nulla di male (quando un disco degli U2 verrà prodotto meno che bene, saremo molto probabilmente alla vigilia di un’apocalisse zombie). Spesso infatti sono proprio i pezzi più scanzonati, come “The Showman” o “Red Flag Day” (con quella chitarra che fa tanto Red Hot Chili Peppers, presente anche in “Summer Of Love”) a convogliare i messaggi più forti.
Il pessimismo di “Songs Of Experience” raccontato da Bono seppellisce i restanti membri della band sotto una cortina quasi del tutto impenetrabile. Per esempio, la chitarra di The Edge, da sempre simbolo di solare positività, riesce a emergere in un numero esiguo di episodi (“The Little Things You Throw Away”, o “You’re The Best Thing About Me”), tanto che non è per nulla azzardato affermare che “SOE” sia il disco di Bono, cantore non solo del suo malessere, ma di chi, come lui, non riesce a vedere una via di uscita in un mondo che ormai sta andando a rotoli.
La luce in fondo al tunnel però c’è, ed è rappresentata dalle nuove generazioni (“When the lights go out, don’t you ever doubt /The light that we can really be”, suggerisce Bono in “The Blackout”). Non solo i figli di Bono e The Edge, presenti in copertina, ma tutti i giovani (vedi la già citata “You’re The Best Thing About Me”). “Songs of Experience” quindi, è un disco proteso verso il futuro, a differenza di “Songs of Innocence”, incentrato sui ricordi di gioventù e perciò sul passato, con un “ponte” ideale rappresentato da “13 (There Is A Light)”, che riprende il discorso di “Song For Someone” presente nel precedente album.
“SOE” è tutt’altro che un lavoro facile. Spesso la rabbia e l’impotenza che traspaiono dai testi, in un effetto che dopo ripetuti ascolti mi viene da dire che sia voluto (anche se non spesso è così efficace ed immediato), non riescono a (o non vogliono) viaggiare sugli stessi binari della musica (eccezion fatta per “The Blackout” e “American Soul”). È un disco che richiede tempo per essere gustato, digerito e assimilato, ma una volta centrato il suo fuoco, regalerà grandi soddisfazioni.