In un momento storico in cui non è solo difficile uscirsene con trovate del tutto inedite, ma anche cercare di mischiare in un modo minimamente innovativo influenze e stili appartenenti al passato (più o meno remoto), gli Underoath tornano sulle scene con un disco, “Erase Me”, che non può passare inosservato tra le novità in campo alternative di quest’anno.
L’ottavo full-length dei Nostri (nonché il primo a distanza di ben otto anni da “Ø”, cosa che ha fatto guadagnare agli Underoath un piccolo Guinness dei Primati) segna il ritorno alle pelli e ai clean vocals di Aaron Gillespie, assente dalla band dal 2008.
Al netto delle polemiche che hanno seguito la pubblicazione del primo singolo, “On My Teeth” (mi riferisco alla strofa “I’m not your fucking prey”, che ha fatto inorridire il seguito più devoto di una formazione che in effetti, si è sempre professata cristiana praticante), il ritorno degli Underoath è un disco dall’identità molto forte e dalla direzione ben precisa, sulla scia di un filone electronic rock, sondato con astuzia grazie alle influenze dei Sleepwave, progetto collaterale del cantante Spencer Chamberlain (vedi per esempio “Rapture”). Ma non mancano le eco industrial (con cui gli Underoath hanno già flirtato in passato, se proprio vogliamo dirla tutta) e una marea di refrain catchy (uno su tutti, “ihateit”), mentre la già citata “On My Teeth” è il compendio dello stile e dell’a nuova intesa dei Nostri.
Nell’attesa di testare in sede live la resa di “Erase Me” e il polso della ritrovata formazione, non possiamo far altro che goderci quest’ultima opera di una band che non è mai stata facile da ascrivere a un genere in particolare, ma che negli anni ci ha regalato qualche produzione se proprio non fuori dal mondo, sicuramente più che gradevole. Bentornati, Underoath.