Le luci al neon mi mettono in una soggezione straniante, mi tagliano le gambe e spesso perdo conoscenza. Una specie di kryptonite, se fossi Superman. L’altro giorno mi sono svegliato in una foresta fittissima di tronchi illuminati da led. Avevo fatto partire il nuovo disco dei Vessels. All’inizio è stato spaventoso ma credo fosse solo per via della sorpresa di trovarmi come all’improvviso in quel luogo. Sono bastati pochi minuti dall’inizio del loro terzo lavoro per abituarmi tra quelle barre luminose.
I Vessels sono un quintetto di Leeds. Prima facevano post-(indie)rock epico su binari strabattuti tra Explosions in the Sky e This Will Destroy You, poi già con il secondo album hanno iniziato a deragliare. I nove brani in questione mettono in mostra un nuovo corso del gruppo britannico, una svolta inaspettata. Adesso le care vecchie impalcature di quel genere sono state abbandonate, aprendomi davanti questo universo di colori al neon ricavato all’interno di strutture elettroniche con dinamiche IDM. Il mio vagare è diventato uno scorrere luminoso tra bagliori, flussi e dilatazioni del tempo.
La band lascia da parte le chitarre e prende in mano i synth, buttandosi con convinzione nel dancefloor, quello raffinato, senza sbavature, lontano dagli “apripista”. Un dancefloor a volte leggero, solare e pop, altre più inquietante tra glitch e ambient più oscuro. Tanti e vari sono i rimandi. Mi pare di essere in uno slalom speciale di Coppa del Mondo tra paletti che portano il nome di Jon Hopkins, Telefon Tel Aviv, Four Tet, Caribou. Arrivo persino su un falso piano tra Morr Music e To Rococo Rot, poi cambio direzione improvvisamente e la mia scia fa zig zag in mezzo a James Holden e Moderat. Il disco è una miscela sonora eterogenea e accattivante. I Vessels hanno cercato di mettere d’accordo amanti della musica strumentale e appassionati di elettronica liquida, anche se avrebbero potuto esplorare questi territori con maggiore libertà, lasciandosi andare maggiormente a curiosità e meno a riferimenti noti.