Quel che resta di Seattle

I Walking Papers sono quelli che a maggior diritto possono ereditare la gloriosa eredità del movimento musicale di Seattle che negli anni ’90 aveva rivoluzionato il mondo intero, partendo dai suoi sonnecchianti sobborghi e ammuffiti sottoscala e garage, un atmosfera smorta e opprimente all’interno della quale anime arrabbiate e piene di talento sono cresciute nell’ombra per poi detonare lasciando un cratere immenso. L’onda d’urto di quell’esplosione è ancora qui, ancora si sente in mille note di decine, centinaia di gruppi che sono cresciuti con il mito di quei volti, quelle voci, chitarre. Rumori anarchia e caos ma anche tanto stile, tecnica, genialità.

WP2” è il secondo album del gruppo di Seattle che dopo un anonimo esordio esplode in tutta la sua eleganza proponendo un rock classico blueseggiante fatto di melodie accattivanti e strumentalità raffinate ma decise. La voce di Jeff Angels che nell’album precedente non mi aveva per nulla colpito questa volta è massicciamente espressiva e convincente, pur rimanendo anni luce indietro a uno scomodo retaggio di modelli a cui inevitabilmente va comparato.

Il volto più conosciuto della line up dei Walking Papers è senza dubbio Duff McKagan, che pochi sanno nei Guns era un inserito. Lui che frequentava i party con gente che poi è rimasta nella scena andando a formare gruppi come Pearl Jam, Soundgarden, Alice In Chains, mentre lui ha deciso di togliersi di torno andando a cercare fortuna (parecchia a conti fatti) a Los Angeles. Il legame indissolubile però con quelle radici musicali è rimasto e lui è sempre in contatto umano con tutti loro, fino al toccante tributo ai Mad Season dove ha suonato il basso e dove Chris Cornell ha cantato, in onore di un caduto, appena prima di unirsi al club dei caduti lui stesso.

Barrett Martin alla batteria è l’altro legame diretto al mito, essendo lui il batterista degli Screaming Trees e dei Mad Season. E tanto sento del supergruppo di Seattle in questo “WP2”. Certo Jeff Angels non è Layne Staley e alla chitarra non c’è Mike Mcready, però le atmosfere psicadeliche impregnate di blues ci sono, sia in momenti più raccolti come la bellissima “Red and White” (mi viene da pensare come sarebbe stata cantata da Mark Lanegan, anche lui membro occasionale dei Mad Season) che in quelli più animati “This Is How It Ends”.

I Walking Papers sono una testimonianza della statura musicale di un movimento che è stato estremamente fecondo, ispirato e liberatorio. La sensazione, se pur la qualità sia superiore all’album d’esordio, rimane quella che sia una sorta di base, elevatissima di tecnica e stile, ma che senza le punte portate dai fuoriclasse che ora non ci sono più o irrimediabilmente invecchiati nello spirito resta inappagata e mancante di qualcosa. Qualcosa che la nostalgia legata ai ricordi ci chiede impietosa a ogni nota.