1
Wormrot – Voices
I Wormrot, trio grindcore originario di Singapore, ha prodotto un totale di tre dischi, se contiamo anche “Voices”. Oltre a recuperare le uscite più datate, date un ascolto a quella più recente… se riuscite. Io mi sono polverizzata il cervello ma vi assicuro che ne è valsa la pena. In primo luogo, i Wormrot sono più incazzati e per questo più ispirati che mai. Il loro grindcore non incappa nel cliché dei pezzi indistinguibili l’uno dall’altro, perché pur in mezzora scarsa di disco riescono a ficcarci melodie in qualche modo catchy (“Buried the Sun”) e suggestioni dark (“Outworn”). Da ascoltare a tutto volume, con buona pace dei vicini di casa e dei vostri timpani.
2
Sparrows – Let The Silence Stay Where It Was
Gli Sparrows tornano sulle scene con un secondo disco, “Let The Silence Stay Where It Was”, post-hardcore negli intenti ma a tratti nu metal nell’anima (“If We Make It Over the Mountain” ne è un esempio, come della sezione ritmica potente e precisa). Anche quando si spengono le luci e tutto rallenta e si fa più soffuso, come nella bella ballad “Waking the Red Sky Season”, i Nostri non perdono il mordente e tengono altissima l’attenzione. Non saranno chissà quali innovatori, ma questi Sparrows valgono fino all’ultimo dei 45 minuti di durata del loro disco.
3
Red Fang – Only Ghosts
Distorto, complesso ma al tempo stesso non arzigogolato, anche se non adatto di certo a tutti i palati: “Only Ghosts”, il quarto full-length dei Red Fang, veleggia negli abissi dello sludge con un’attitudine grunge. L’intermezzo strumentale “Flames” lascia presagire nuove incursioni in territori ancora più cupi, ma sono presenti anche brani più accessibili come “Not For You”. Se siete fan di Queens of the Stone Age e Kyuss non potete lasciarveli scappare.
4
Départe – Failure, Subside
“Failure, Subside” è un viaggio agli Inferi senza ritorno. Post black metal dalle atmosfere cupe e soffocanti, di un tecnicismo glaciale. “Ashes in Bloom” è il brano che vi consiglio di ascoltare con più attenzione, e troverete eco dei Deafheaven che riverberano per tutto il disco. Io l’ho ascoltato per la prima volta su un treno che si trascinava lentamente nella nebbia. E ho i brividi ancora adesso.
5
Deadships – The Darkness That Divides Us
“The Darkness That Divides Us”, esordio dei Deadships, è metalcore dei più scolastici. Energici ma derivativi, questi ragazzotti dell’Illinois ce la mettono tutta per tirar fuori un lavoro il più pulito possibile, senza sporcarsi le mani con sperimentazioni e contaminazioni di alcun tipo. Il rischio però è di somigliare a un altro mezzo milione di band là fuori (ascoltatevi “Faith In Lies” e capirete).
6
Concepts – Misguided (EP)
Ormai mi è venuta la fissa di creare nuove etichette e nuovi generi per le band che mi capitano tra le mani. Bene, i Concepts, band texana uscita da poco allo scoperto con il primo EP, sono a mio avviso Casino-core. Mi spiego meglio: avete presente quando le melodie melense incontrano il metalcore? Quando l’eccessiva stratificazione e la necessità di essere extra-loud copre delle strutture (e conseguentemente delle idee) interessanti? Forse no e forse state anche bene così, ma se la curiosità vi prende, ascoltatevi questa manciata di canzoni. Il potenziale potrebbe anche esserci, a patto di essere più immediati e meno artificiosi.
7
The Last Ten Seconds of Life – The Violent Sound
Se prendete “Bloodlust”, uno dei pezzi che compongono il terzo full-length dei The Last Ten Seconds of Life, non potete far altro che esclamare: “finalmente metalcorezarro intriso di nu metal (anch’esso inteso nell’accezione più cafona)!”. Ma se i bassi vi pompano nelle orecchie e vi assale una malsana quanto irresistibile voglia di fare crabcore, non preoccupatevene più di tanto (è successo anche a me). Piuttosto, il peggio sarà accorgersi dopo due brani che sono tutti fatti con lo stampino. Che noia.
8
Sonic Syndicate – Confessions
Ho deciso di dare una chance a “Confessions”, il nuovo (sesto!) disco dei Sonic Syndicate pur sapendo che le premesse non erano delle migliori. E infatti, devo ammettere di non essere rimasta delusa. Ma sarei stata molto più felice se l’ascolto della nuova fatica degli svedesi mi avesse preso a calci i timpani. Invece l’unica sensazione che mi provoca “Confessions” è disagio. Elettronica che ormai non solo sorregge la struttura (in teoria) metalcore, ma diventa la protagonista assoluta. Solo nella sua versione più cheap e meno convincente e con meno cuore (oltre che completamente fuori dal tempo e dal mondo).
9
Obituary – Ten Thousand Ways To Die
Inutile una pillola su un disco live degli Obituary, specialmente nel 2016. Loro sono da vedere dal vivo (finchè andranno avanti a fare live) almeno una volta nella vita. Per farsi tritare le ossa in mezz’ora di set in cui il death metal floridiano vi dimostrerà una volta per tutte perchè ha ancora senso gridare “Chopped In Hauuuuulf” ogni tanto in mezzo alla strada. Ci sono anche due inediti (brutti), ma la parte dal vivo è perfetta per dei vecchi che conservano gelosamente il vinile di Cause Of Death. (j.c.)
10
As Lions – Aftermath (EP)
Il figlio di Bruce Dickinson ci riprova. Ora canta pulito e fa alternative rock elettronico anche piacevole, ma con 14 minuti di musica ci si può fare poco. Attendiamo un disco intero, i ritornelli catchy per piacere ai più giovani ci sono pure, Austin ha forse trovato una dimensione migliore per la sua ugola, dopo l’unico lavoro inciso con i Rise To Remain (che a me schifo non facevano tra l’altro). (j.c.)