Stasera Bob Dylan salirà per il secondo weekend consecutivo sul palco del Desert Trip Festival che, per quanto ammantato da un chiarissimo velo di nostalgia, sarà ricordato come uno degli eventi storici di cui il cantautore americano fu tra i protagonisti assoluti.
Quel Dylan grazie a cui quasi tutti gli altri partecipanti al festival iniziarono a scrivere canzoni, lo stesso personaggio di cui Lennon fu discepolo assoluto e fedele fino ad un certo punto della sua carriera (chi non ricorda le prese di distanza di “I don’t believe in Zimmerman” in God o i brani in cui John lo prendeva per il culo per la sua conversione al cristianesimo). La lista, tuttavia, potrebbe essere infinita e, in fin dei conti, aggiungerebbe pochissimo all’immensità di uno dei personaggi pubblici più influenti del ‘900.
Da ieri, proprio mentre un altro Nobel molto contestato lasciava questa terra, la giuria del premio più prestigioso (e spesso discusso) al mondo decideva finalmente di consegnargli quell’onorificenza che per moltissimi anni era sembrato sul punto di ricevere, ma che forse nessuno voleva prendersi la responsabilità di dargli. Sì perché questa non è la semplice assegnazione di un premio che appare più un omaggio alla carriera che altro, ma è qualcosa di profondamente rivoluzionario, di epocale. È un gesto che di colpo toglie la tanto bistrattata musica popolare da quell’insieme di cose che da decenni qualcuno definisce semplice intrattenimento, per inserirla in quello della letteratura tout court.
Ultimamente a Dylan interessa più il repertorio di Frank Sinatra che i messaggi portati dal vento e, anche se l’intellighenzia continua a parlare solo di Newport, dell’impegno politico e di cose che per un personaggio che ha cambiato molte più pelli di David Bowie hanno davvero senso zero, oggi Bob è più attuale che mai. Colto, geniale, ma anche altezzoso, contraddittorio e pure un po’ stronzo, come solo i più grandi. Da ieri, Bob Dylan è anche l’unico essere umano ad aver vinto un Oscar, il premio Pulitzer e il Nobel, il tutto senza essere uno scrittore di professione.
Le polemiche stanno fioccando e continueranno a farlo nei prossimi mesi, ma una cosa è certa: chi sostiene che sia una vergogna che Dylan ora sia in compagnia di gente come Carducci, Yeats, Faulkner o Hemingway, o è in malafede o non ha capito un cazzo dell’arte.