Questo Festival di Sanremo 2016 è stato un po’ come portare un diabetico in una pasticceria. Glielo fai credere tantissimo e poi, invece, gli ridi in faccia. Quest’anno ci hanno fatto credere che qualcosa potesse cambiare, che il giovane (e non solo giovane anagraficamente, ma soprattutto musicalmente) potesse trionfare. Hanno scelto i nomi più forti al momento in un panorama vasto, hanno abbassato l’età media, lasciando comunque lo spazio che chi ha fatto la storia merita, ci mancherebbe, leggere alla voce Patty Pravo.
È stata lunga e dura, ma ce l’abbiamo fatta. Anche quest’anno, sotto alcuni punti di vista, l’abbiamo portata a casa, e ci vorrà una settimana per recuperare le ore di sonno perse. L’ha portata a casa Carlo Conti che per il secondo anno dimostra di saper fare benissimo il compitino, con pochissime sbavature e anzi, un talento da improvvisatore che non avrei mai immaginato, e che ha fatto emozionare l’Italia intera ospitando Ezio Bosso. L’ha portata a casa Virginia Raffaele, trasformista incredibile che però anche nei panni di se stessa riesce a essere una “valletta” all’altezza. L’ha portata a casa il lato social, dato finalmente in mano a qualcuno di competente che sappia come usare gli hashtag su twitter, chi ha partecipato ai giochini dei The Jackal, chi ha aderito al Sanremo Arcobaleno e si è colorato la faccia, i vestiti o il microfono con i colori dell’amore universale al grido di love is love. L’avrebbe portata a casa il lato comico se fossero stati scelti dei comici che facciano effettivamente ancora ridere nel 2016, e forse ci voleva qualche artista internazionale (sconosciuto) in meno, ma soprattutto l’ha portata a casa chi ama un genere di Festival che è l’opposto di quello che piace a me: il festival che puzza di muffa.
Infatti il cambiamento ce lo hanno solo fatto annusare, ce ne hanno fatto godere per un po’ ma solo per alcune cose, poi è arrivata la mazzata.
Per il primo anno io, fino all’ultimo minuto, non sono riuscita neanche lontanamente a immaginare il podio. I miei colleghi della sala stampa avevano lo stesso problema. Gli anni precedenti, a un certo punto, avevamo delineato i tre potenziali vincitori in un minuto.
Insomma, hanno vinto gli Stadio. Con una canzone che potrebbe tranquillamente essere contenuta nella colonna sonora di “Acqua e Sapone” di Carlo Verdone perché è esattamente identica a ciò che hanno sempre fatto. Il che non vuol dire che quello che hanno sempre fatto sia brutto, semplicemente che la vittoria la meritavano altri. Mi sono sentita dire “eh ma hanno fatto la storia, eh ma non hanno mai vinto un Sanremo” e io vorrei solo ricordare a tutti che Sanremo non è un premio alla carriera. Nessuno si permetterebbe mai di dire che come gruppo non meritino un premio per i tanti altri sui palchi, che Gaetano Curreri non meriti un premio per i tanti brani meravigliosi che ha regalato ad artisti meravigliosi ma, semplicemente, Sanremo è un’altra cosa. Perché allora, secondo questo ragionamento, sarebbe stato giusto far vincere Annalisa o Noemi, che sono sempre impeccabili e ci provano da anni, pur non avendo brani particolarmente interessanti (anzi, credo che quello di Noemi fosse il peggiore in gara). Allora sarebbe stato giusto far vincere di nuovo Valerio Scanu perché è primo nelle vendite su iTunes (non ci è dato sapere il motivo). Sanremo non lo vinci per altri meriti, lo vinci se hai un bel pezzo e se su quel palco ci stai come ci dovresti stare. Dovresti vincerlo se rischi, se provi a uscire dalla banalità del sole-cuore-amore, dal trito e ritrito dei duetti alla Al Bano e Romina con gli sguardi languidi che si incrociano e le mani che si toccano gli acuti che si intrecciano (sì Caccamo Iurato, ce l’ho con voi, quel terzo posto è un affronto). Dovresti vincere se hai vent’anni, se non ha sbagliato niente, se hai un brano che – nonostante non sia il migliore del tuo ultimo disco – tocca le corde che deve toccare, se le tocca a tutti, giornalisti, fan, profani su twitter, orchestra, dovresti vincere se sei Francesca Michielin. E non ci provate a rimproverarmi perché vado contro “i vecchi”, io sono vecchia, e non è un problema generazionale. Quando vinse Roberto Vecchioni piansi, perché aveva una canzone bellissima. Se avesse vinto Patty Pravo avrei pianto, perché aveva una canzone bellissima. Su quel palco si può essere giovani a qualunque età, e quest’anno abbiamo perso una grande occasione per dimostrarlo. Non rientrano nel mio concetto di giovani nemmeno Marco Carta e Valerio Scanu quando hanno vinto, forse avevamo accarezzato il cambiamento con Marco Mengoni ma poi niente, continua a piacerci l’odore della cantina, il filtro vintage, il viale dei ricordi e una certa impostazione che forse, davvero, non cambierà mai. Ci vediamo l’anno prossimo, dai, fate vincere i Pooh.