Il curioso meccanismo che scatta nelle menti degli appassionati di musica quando un gruppo e/o un artista italiano conquista fama, celebrità e grano al di fuori delle mura amiche ha dell’incredibile. Prendiamo un esempio attuale e localizzato tra le sonorità marcatamente hard a tinte gotiche: i Lacuna Coil.
Il gruppo milanese ha fatto il “botto” a titolo definitivo con il recente “Karmacode”, conquistandosi il popolo a stelle e strisce e donando a Cristina Scabbia e soci una popolarità inimmaginabile prima dell’uscita di “Comalies” (il precedente lavoro della band).
Osannati al tempo dell’EP di debutto e bollati come la risposta italiana ai The Gathering col successivo “In A Reverie”, ben accolti grazie a “Unleashed Memories” e velocemente scaricati come venduti alle esigenze di mercato (concetto pazzesco e vagamente romantico) alla release del già citato “Comalies”, i Lacuna Coil diventano oggetto del disprezzo dei fans di una volta, quelli che hanno comunque fornito la solida base da cui la band è partita per conquistare gli USA in soli tre anni.
Anziché un elemento di vanto, i Lacuna sono oggi il simbolo di adolescenti aspiranti gotiCose e di pischelli in cerca di cattiveria. Il problema, abbastanza grosso, è che i nostri comunque continuano a proporre buona musica e non poi così differente da quella degli esordi. Il management, la loro capacità di adattarsi al sound à la Evanescence in voga in un preciso lasso temporale, il battage pubblicitario e gli sforzi concreti dei componenti del gruppo, hanno oggi portato i LC a diventare una band heavy in grado di imporsi come pochissimi altri sul mercato estero. Sono poche le stelle del pop o della leggera italiana che sono riuscite a imporsi oltre confine nonostante una lunga militanza nelle charts nazionali. Il fatto che i Lacuna Coil ce l’abbiano fatta suonando heavy è un’aggravante positiva.
Lascia spaesati sentire gli stessi componenti del combo dichiarare “Oramai lavoriamo solo in America, non siamo più abituati a parlare in italiano” oppure sentirli a disagio di fronte al pubblico di casa. La realtà è che il nostro paese pullula di realtà valide che a causa della non cultura musicale presente in Italia sono destinate a rimanere confinate e destinate all’underground. Pensiamo non soltanto alle scene hard rock, ma anche alle comete hip hop da una stagione o ad artisti jazz scoperti dopo anni di attività. L’esterofilia unita alla chiusura mentale esasperata, al fatto che “se quelli sono famosi è perché si sono venduti anche se suonano bene”, rappresenta l’eterno problema della scena italiana alternativa, e più in generale della musica spontanea e non confezionata.
S.D.N.