Che novità: il Rock non è morto!

Ho 37 anni, ho visto un botto di concerti, lavoro in questo ambiente da una quindicina d’anni (anno più/anno meno) e racconto ciò che vedo ai live dal 2003 circa. Da sempre ascolto e leggo anche tante minchiate (oltre quelle che dico o scrivo io s’intende). Tipo che il rock non funziona. Che è morto. Questo non è un Paese rock. Editorialmente non è la scelta giusta. Ai concerti troppo rock non ci va poi tutta questa gente e nemmeno quella che conta.

Storicamente i media e la stessa industria discografica italiana provano da sempre a pompare il meno possibile le chitarre distorte, pensando che in questo modo la gente non vorrà ascoltarle. Un po’ come quando dici a tuo figlio che una tal cosa non la deve fare. Se ne fotte, la fa lo stesso. Magari si fa male, ma non è detto che non la rifaccia. Per il Rock è così.

La Rai taglia Bennato mentre suona quel capolavoro di “Meno male che adesso non c’è Nerone” al Concertone del Primo Maggio: pubblicità, troppe chitarre sul palco, troppo veloce il ritmo. Giornali e organi di comunicazione ci parlano del progetto di Rovazzi e Morandi, di quanto bella sia la musica pop internazionale, di come i giovani ascoltino solo hip hop italiano e vadano al Tomorrowland. Insomma nessuno se lo caga il rock. Il rock non esiste.

Nei giornali (cartacei e online) non parliamone, è problematico far dei pezzi sui Metallica, figuriamoci sul Rock che muove ancora masse clamorose. L’editore non vuole. Si ha paura che questa roba sul popolo social non funzioni. Si dà risalto a sold-out farlocchi e non a show che scaricano su decine di migliaia di persone tonnellate di energia e distorsione. Infine i rockettari stessi (mi ci metto dentro pure io, lo ammetto), si lamentano (anziché tutto sommato ringraziare del fatto che ciò accada da anni) di come Virgin Radio diffonda il messaggio del RWOK al pubblico generalista (che apprezza, premiandoli con ottimi dati d’ascolto) con una playlist di 400 brani che vanno in rotazione da dieci anni. O che nessuno degli oramai attempati rocker di una volta (io incluso, un’altra volta, “noi” diciamo) riesca a sopportare il fatto che il pubblico ai concerti ci vada lo stesso ma sia inevitabilmente cambiato, più comodo, meno scalmanato e preparato ecc.

Poi nell’estate del 2017 i Guns N’ Roses fanno 83.000 persone a Imola. I Linkin Park realizzano il più grande sold-out della loro carriera per un concerto singolo a I-Days. A Firenze Rocks arrivano più di 90.000 persone per Aerosmith, Eddie Vedder e System Of A Down. I Red Hot Chili Peppers fanno due altri tutto esaurito da più di 60.000 cristiani cumulativi dopo le tre date indoor di pochi mesi fa (sold-out ovviamente). Che altro? Vasco, quello che certe sonorità rock in Italia vi piaccia o meno le ha portate e diffuse molti anni fa, vende 220.000 biglietti per una singola data.

Lascio volutamente fuori gli U2 (che a Roma suoneranno per intero un bellissimo album Rock del 1987), e Rolling Stones (che han esaurito cinquantamila e passa posti a Lucca in un batter d’occhio). O ancora i Metallica che a febbraio 2018 faranno tre date già stracolme nei palazzetti . Inoltre, se fossero venuti in Italia Muse o Foo Fighters, avremmo potuto organizzare un altro paio di sold-out in stadi o spazi all’aperto a caso, visti i loro ultimi set stracolmi nel nostro Paese.

Senza sconfinare troppo nel metal “settoriale” (altrimenti bisognerebbe ricordare il Gods dello scorso anno con quasi ventimila spettatori a Monza, che la data – purtroppo annullata e mai recuperata a oggi – degli Avenged Sevenfold a Milano lo scorso febbraio era sold-out da mesi, o che gli Helloween suoneranno al Forum a novembre causa richiesta esagerata di biglietti da parte dei metallari), la sostanza è che per quanto ci si ostini a far finta di nulla, in questo dannato paese il Rock dal vivo funziona eccome.

Pur con una cultura musicale che ha da sempre fatto in modo di osteggiare questo genere in ogni modo. Pur avendo media spesso riluttanti a raccontare di come i giovani vadano non solo a fare gli schiuma party nei club ma anche a divertirsi ai concerti degli Slipknot, o che ancora sia pieno (ma pieno) di ragazzi giovani anche ai concerti dei dinosauri come i Deep Purple (che faranno per gradire altri tre show a fine mese in Italia).

Per molti di “noi” è probabilmente difficile accettare il fatto che anche J-Ax e Fedez propongano una medley dei Green Day e Blink-182 durante i loro live pieni di ragazzini, o che Stash dei Kolors parli solo di Pink Floyd durante le sue interviste. Ma sono tutti segnali di come questo genere sia inevitabilmente destinato a rimanere la cosa più bella mai accaduta alla musica negli ultimi settant’anni.

Qualcosa che è dentro molti musicisti legati al pop, che magari non possono dire deliberatamente “suono musica di merda perché me la passano in radio ma vorrei suonare una sette corde o fare cover dei Dead Kennedys come bis ai miei live”. Qualcosa dentro quasi tutti gli operatori di settore che spesso devono promuovere roba indegna solo per compiacere le “liste di priorità” compilate da manager illuminati. Qualcosa che appartiene a molti imprenditori e professionisti della comunicazione che però hanno sempre dubbi su quanto possa essere dannoso per l’immagine sporcarsi troppo le mani col sudore e le spallate del popolo rock. Qualcosa che forse non appartiene davvero nel profondo solo a certe fette di cinquantenni cresciuti senza musica decente.

Qualcosa che torna fuori ogni anno anche se si cerca di buttarla nel cestino più lontano possibile da casa. Qualcosa che bussa alla porta e, anche se continuate a non voler aprire, entra e spesso poi vi entra pure in quel posto.