Intervista ad Alvise Losi, caporedattore di Onstage

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Alvise Losi è caporedattore di Onstage, rivista musicale edita da Areaconcerti dal 2007. La testata è da anni riferimento per la musica live e relativi appassionati, grazie anche a una delle pagine Facebook maggiormente conosciute e apprezzate dal pubblico.

Con quali testate musicali online lavori? Scrivi di musica anche altrove?
Lavoro a Onstage e non per altre testate musicali.

Qual è il tuo attuale ruolo nella testata per cui lavori?
Sono caporedattore.

Il tuo lavoro principale è questo?
Sì.

Qual è l’introito principale della testata per cui lavori?
Adv e branded content.

Quante persone lavorano per la tua stessa testata? Vengono tutte retribuite?
Cinque interni (tutti retribuiti), oltre a numerosi collaboratori (retribuiti a pezzo).

Per quale motivo, a tuo parere, difficilmente c’è chiarezza sulle visite e sugli introiti di un sito? Per quale motivo questo accade? Ritieni che sia invece giusto mantenere una minima privacy sul tema, eccezion fatta per chi investe sul sito stesso?
Bisognerebbe fare una prima distinzione tra chi ha finanziamenti pubblici e chi invece ha solo finanziamenti privati. Voglio poi ricordare che la professione del giornalista avrebbe (e sottolineo il condizionale) un codice deontologico da rispettare, il che dovrebbe (e sottolineo di nuovo il condizionale) garantire un’informazione se non proprio indipendente, quantomeno chiara e onesta. Ovviamente questo fa parte di un mondo ideale. Ma non pensate che ai tempi d’oro della carta fosse diverso, e mi riferisco alla chiarezza sia sugli introiti sia sulle tirature. Per quanto riguarda la privacy e gli investitori, sta a ogni sito regolarsi in base alle proprie considerazioni. Anche perché si sta parlando di musica, non di interessi legati a pozzi petroliferi o aziende che producono armi… al più cosa può accadere, che parli bene di un artista perché lui in cambio ti garantisce un retweet? Queste cose sicuramente succedono, ma mi fanno ridere prima che arrabbiare.

Quanto gli addetti ai lavori (etichette, promoter, uffici stampa, artisti…) sono sufficientemente informati (e formati) per capire le dinamiche del web e la reale efficienza di un sito piuttosto che di un altro?
Poco, in un certo senso. Molto, in un altro senso. C’è ancora un legame molto stretto, soprattutto da parte degli addetti ai lavori, verso il “vecchio” mondo della carta e delle grandi testate, a torto o a ragione. D’altra parte a mio parere il problema più grave è che la percezione del ruolo dei social e di internet sta influenzando il contenuto più che il contenitore. Il che non è un errore di per sé, ma lo diventa se si bada solo (e non anche) a questo aspetto, mentre purtroppo la mia impressione è che si stia commettendo proprio questo sbaglio. La conseguenza più immediata credo sia una: il ruolo del giornalista appiattito a quello di semplice ripetitore degli uffici stampa. Che, attenzione, non sono i (soli) responsabili di quanto sta accadendo: gli errori si fanno tutti insieme. Io credo che,se esistono dei ruoli, è giusto che vengano rispettati: da giornalista non devo pensare a tutti costi a compiacere l’artista di turno, da ufficio stampa non devo ragionare in base al giornalista che sicuramente parlerà bene del mio artista. Allo stesso tempo da giornalista non devo cercare solo il titolo a effetto (ormai i cantanti “sono costretti” a parlare più di politica che di musica) e da ufficio stampa dovrò essere pronto a evitare che una dichiarazione sia “fraintesa”. Ma, anche qui, attenzione: fraintendere non significa utilizzare la dichiarazione più forte, significa mutarla e manipolarla (più o meno consapevolmente). Comunque prima che cambino queste dinamiche passeranno anni e lustri. A prescindere dai social.

Quanto credi che i social network abbiano influito nel cambiare (potenziandoli, diversificandoli o depotenziandoli) il ruolo dei siti stessi? Pensi che una fanpage sia allo stato attuale più o meno importante del sito stesso?
Anche questo è un discorso molto complesso. Per non farla lunga, credo che le fanpage abbiano un senso d’essere (peraltro le fanbase sono sempre esistite), ma mediamente un fan non ha un grande spirito critico (e lo dico con il massimo rispetto, da fan io stesso di alcuni artisti). I social network sono un’arma a doppio taglio: hanno aiutato a cementare il rapporto tra i fan e l’artista dando l’impressione, solo a volte supportata dalla realtà dei fatti, che la distanza tra pubblico e cantante si sia ridotta. Al contrario, il ruolo degli uffici stampa e dei media dovrebbe essere quello di “allargare” il pubblico di un artista, quindi non ne farei un discorso di maggiore o minore importanza. Fanpage e media hanno un’importanza non paragonabile, semplicemente perché si muovono in due ambiti diversi.

Come convivi con la notorietà nell’ambiente e con l’essere preso come riferimento da altri colleghi per quanto fatto fino a oggi?
Dubito che i colleghi sappiano anche solo come mi chiamo o che associno il mio volto al mio nome. A parte le battute, il mondo giornalistico è molto autoreferenziale. O, se vogliamo usare un termine caro alla musica, pieno di poser (in questo sì i social network hanno dato grande spazio alla vanità dei singoli). A Onstage non abbiamo ambizioni di notorietà personale ma l’obiettivo comune è far sì che il nostro giornale e il nostro sito abbiano una diffusione sempre maggiore, a prescindere dalla visibilità di ciascuno di noi. Ecco, in quest’ottica fa piacere notare che nel nostro ambito (la musica live) abbiamo acquisito negli anni una certa credibilità con i lettori.

Perché secondo te c’è così tanta gente che fa, o prova a fare, il tuo stesso mestiere? C’è a tuo parere sufficiente preparazione? C’è solidarietà tra colleghi o aspiranti tali, oppure prevalgono invidie e frustrazioni?
Questo è nell’immaginario un bellissimo mestiere, e lo è anche in pratica, ma probabilmente chi deve ancora entrare in questo mondo non è del tutto consapevole delle difficoltà che dovrà incontrare e che gli anni dei grandi stipendi sono finiti (tranne per qualche media di diffusione nazionale). Oppure ne è consapevole, e in questo caso ci sono due categorie: chi davvero è appassionato e vuole fare il giornalista (merito a lui) e chi invece di fatto è un fan mascherato o un poser (e allora sarebbe meglio facesse altro). Questo mi porta a parlare del secondo punto:senza dubbio non c’è sufficiente preparazione.Internet ha dato l’illusione a tutti di poter scrivere e che questo significhi di per sé essere un giornalista. Non sto dicendo che per essere giornalista servano il tesserino o l’iscrizione all’ordine, ma tanta tanta applicazione (oltre alla conoscenza della lingua italiana).E invece non c’è più tempo da dedicare alla formazione di giovani giornalisti all’interno delle redazioni. Noi a Onstage cerchiamo di dedicare il maggior tempo possibile ai nuovi collaboratori, soprattutto quando scrivono per noi i primi articoli (li passiamo alla vecchia maniera), e a chi entra in redazione per spiegare tutte le dinamiche di questo mondo. Sulla questione della solidarietà tra colleghi, invece, credo che non si possa fare un discorso limitato al mondo del giornalismo in generale o del giornalismo musicale nello specifico: in ogni professione e in ogni generazione ci sono gli stronzi e ci sono gli onesti, ci sono gli egoisti e ci sono gli altruisti. Ma forse è vero che al mondo gli stronzi e gli egoisti si notano di più. E a volte fanno più strada. Sai, se sei disposto a farti calpestare pur di rimanere incollato alla suola…

Quali sono i tre momenti/servizi migliori (professionalmente parlando) che hai vissuto/realizzato fino a questo momento?
Mi limito alla mia esperienza come giornalista musicale, perché se dovessi parlare di altri articoli è chiaro che un’inchiesta sugli ospedali psichiatrici giudiziari o un’intervista a un malato di amianto ha risvolti sociali che ti rimangono più impressi rispetto a una cosa in fondo leggera come la musica. Vado in ordine cronologico. La prima soddisfazione è stata quella di essere tra i pochi a rendersi conto da subito, nel 2012, della scelta dell’amministrazione comunale milanese di cancellare il Milano Jazzin’ Festival: nulla di che, ma è praticamente la prima cosa che ho scritto in ambito musicale e la ricordo con piacere. La seconda è stata un’intervista a Carmen Consoli in vista del suo tour nei palazzetti nel 2015: non sono un suo fan, ma in quella telefonata si è creata una sintonia che è davvero difficile instaurare, a maggior ragione a distanza, con una persona che non si conosce, a prescindere dal fatto che sia un cantante. La terza è stata la recensione che ho scritto dopo l’ultimo concerto di Cesare Cremonini, la notte di venerdì 13 novembre, durante gli attentati a Parigi (e tra essi quello al Bataclan): è stato in un certo senso terribile trovarsi a scrivere in un momento del genere, ma allo stesso tempo liberatorio, e sono contento che quelle mie parole abbiano toccato molti lettori e molte persone che gravitano nel mondo della musica.

Come vedi il mondo dell’editoria musicale online da qui a tre anni?
Non so cosa accadrà al mondo dell’editoria in generale, figuriamoci a quello dell’editoria musicale. Diciamo che in una situazione di crisi che è inutile far finta di non vedere (e mi riferisco proprio al mondo dell’editoria, che era già in crisi prima di questa lunga crisi economica) credo siano meno penalizzati quei media specializzati in un particolare settore. Poi, certo, se questo particolare settore è a sua volta in crisi (il mondo della musica) sembra che ci si voglia fare del male a tutti costi. E però se siamo riusciti a reggere in questi anni, e non mi riferisco solo a Onstage ma a molti media di settore, forse si può pensare che il peggio sia passato e che tra tre anni saremo ancora qui a intervistare artisti, recensire album e concerti e dare anticipazioni sui prossimi tour. Sono ancora convinto che la qualità paghi di più del link building.

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