“Born to Run”, l’autobiografia di Bruce Springsteen. Ho ascoltato subito “Chapter and Verse” all’uscita, l’album che accompagna il libro, per sentire come fossero i “nuovi vecchi” brani, gli estratti dalla gioventù del Boss. E li ho apprezzati, ma non quanto li ho apprezzati dopo aver letto il libro. L’intero album è la vera e propria playlist di una vita, e non l’ennesimo Best Of come potrebbe apparire a un primo sguardo. Leggere per credere.
Mi sono preso il mio tempo, per scrivere di “Born to Run”. Anche quando gli articoli piovevano da ogni dove con titoli invitanti come “Bruce Springsteen tra depressione e suicidio” ho voluto aspettare, perché per rispetto per quello che la sua musica ha significato e significa per me non me la sentivo di scrivere un articolo tanto per fare, senza aver letto e interiorizzato le sue parole. Senza averle ascoltate in prima persona.
L’idea stessa di un libro sulla vita di Bruce Springsteen, scritto in prima persona, era estremamente elettrizzante. Fin dall’annuncio ho trepidato per leggerlo, con giusto un paio di dubbi: “Aggiungerà davvero qualcosa a ciò che già si sa? Sarà un buon libro? E soprattutto, l’avrà scritto davvero lui?”. L’ultimo quesito trova facile risoluzione: parliamo dell’uomo che poco più che ventenne ha scritto “Thunder Road”, “Born to Run” e una manciata o due di altri capolavori; è plausibile che nonostante non sia il suo ambito usuale, con il giusto tempo (sette anni, con varie pause) abbia scritto un libro. E per rispondere al secondo dubbio: un ottimo libro.
Certo, che chi scrive sia un fan penso sia ormai chiaro anche al meno perspicace dei lettori, ma ho richiamato all’ordine il mio lato più obiettivo prima di esprimere questo giudizio, e dopo attenta analisi interiore rimango dell’opinione iniziale: “Born to Run” è un ottimo libro, e un’ottima autobiografia. Lungi dall’essere una semplice esposizione di fatti e aneddoti, la narrazione trasporta il lettore dentro il mondo descritto tra le pagine. Springsteen non si risparmia: racconta la propria vita dal proprio punto di vista, contestualizzando al meglio ogni momento storico, personale e musicale. Veniamo così a conoscenza dei Castiles, la prima band a ottenere successo locale seguendo l’ispirazione della british invasion, e dei successivi Steel Mill, dove la chitarra solita del nascente Boss fa da padrona della scena, ispirata dal blues rock di matrice Cream e da quello di stampo hendrixiano. Infine la decisione di “essere il Capo”: farsi carico di oneri e onori della gloria sul palco, prendendo le decisioni musicali e correndo i rischi del caso, dando vita a una macchina da rock conosciuta in tutto il New Jersey.
E poi, rincominciare tutto daccapo: accantonare la band, concentrarsi sui testi e sul lato più folk, fino alla nascita dell’E Street Band, perfetto apice di dieci anni di gavetta, dove i migliori musicisti conosciuti si ritrovano sotto uno stesso tetto per dare vita a qualcosa di unico, un sound ispirato tanto dal rock e dal pop bianco quanto dal soul nero, le due grandi scuole musicali della Jersey Shore. Senza mai un soldo in tasca, spesso senza una fissa dimora, senza mai nulla se non una chitarra, dei buoni amici, e una storia da raccontare in ogni locale disposto ad ascoltarla.
Accanto alla storia musicale, avanza quella familiare: dagli aneddoti infantili al rapporto coi genitori, con una madre che risparmia ogni centesimo per poter comprare una chitarra al piccolo Bruce e un padre con il quale è difficile instaurare un rapporto, tanto è chiuso nel suo mondo. Un padre che avrebbe forse bisogno di un supporto professionale, alla deriva tra paranoie e depressione, in un mondo dove si riesce a malapena a mettere il pane in tavola figuriamoci parlare con uno psicologo. Un’eredità che si ripercuote negli anni anche sul figlio, più volte sull’orlo di un enorme baratro emozionale dal quale solo anni di lavoro su se stesso, con l’aiuto di terapisti, amici e una compagna di vita sensibile e di supporto, riescono a salvarlo. E nonostante tutto, l’oscurità è sempre ai margini della città.
“Born to Run” offre uno sguardo inedito sulla vita di Bruce Springsteen, sotto i riflettori e non. Davanti agli occhi del lettore, la vita del cantante diventa tridimensionale, acquistando uno spessore che non potrà essere dimenticato facilmente. Una vita piena di lavoro, da bravo “operaio del rock” come lui stesso si vede, amore (si veda il capitolo su Patti Scialfa, e sulla nascita dei figli), musica, momenti bui e momenti felici, concerti leggendari come quello a Berlino Est (o a San Siro nell’85!), amici persi di vista e altri frequentati spalla a spalla fino alla fine.