Intervista a Claudio Todesco, scrittore e giornalista di Rockol

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Claudio Todesco è un’altra istituzione del giornalismo musicale italiano. Ha legato il proprio nome a Jam ma anche a Musica! di Repubblica, attualmente è possibile leggerlo su Rockol (affermatissima testata musicale, online dal 1995) e sul proprio blog monomusicmag.

Con quali testate musicali cartacee/online lavori/hai lavorato?
Rockol, Jam, Musica! di Repubblica e Tutto sono le principali. Senza contare il lavoro svolto a livello editoriale per le pubblicazioni musicali di Arcana, Editori Riuniti, RCS, Fabbri, Zanichelli.

Scrivi di musica tutt’ora?
Sì, anche per testate non musicali. E sul mio blog monomusicmag.com.

La tua mansione principale attuale è il giornalista?
Sì.

Perché l’editoria tradizionale è scomparsa o è comunque in agonia da anni? È solo colpa degli editori?
L’editoria tradizionale attraversa un periodo di cambiamento epocale di cui nessuno conosce l’esito. Le testate cartacee registrano lettori e ricavi pubblicitari in calo, i siti Internet non hanno ancora sviluppato modelli di business sostenibili. Sono sostenuti da investimenti, da ricavi cercati altrove. In molti casi è la carta, proprio quella in crisi, a tenere in piedi le redazioni Internet – vale per Il Fatto Quotidiano così come per il New York Times. L’editoria musicale non fa eccezione e soffre anche per via della mancanza dello stimolo per trasformare la propria attività da passione più o meno remunerativa a impresa – abbiamo frequentato la School of Rock con Jack Black, non la London School of Economics con Paul Krugman. In quanto al giornalista musicale, oggi offre sul mercato del lavoro una professionalità estremamente svalutata, in un contesto in cui la maggior parte delle persone scrive gratis o quasi, rivolgendosi a editori che hanno risorse sempre più scarse, in un ambiente in cui il merito vale meno delle conoscenze.

Quanto internet ha cambiato l’editoria e in particolare modo quella musicale? Quanto credi che i social network abbiano influito nel cambiare (potenziandoli, diversificandoli o depotenziandoli) il ruolo degli stessi? Pensi che una fanpage sia allo stato attuale più o meno importante del sito stesso?

Internet ha cambiato profondamente il modo in cui ascoltiamo musica, la condividiamo, la commentiamo. E anche il modo in cui leggiamo di musica. È un passaggio epocale, che porta con sé alcuni fatti positivi, fra cui lo sviluppo di un maggiore senso critico. I social sono sempre più il canale attraverso cui molti indirizzano ed esauriscono la curiosità verso il mondo del pop-rock. E sono il luogo in cui gli artisti dialogano direttamente col proprio pubblico. È la famigerata disintermediazione. Quando avevo 15 anni, per sapere quanti e quali dischi aveva fatto un artista potevo contare solo sulle riviste musicali, sui libri specializzati, sul passaparola. Oggi, nella maggior parte dei casi, posso ascoltare istantaneamente ogni singolo album di quell’artista, conoscere la sua visione, leggere gratuitamente commenti autorevoli senza spendere un euro.

Come convivi con la notorietà nell’ambiente e con l’essere preso come riferimento da altri colleghi per quanto fatto fino a oggi?
Essere fermato di continuo per firmare autografi e fare selfie è una gran scocciatura, ma stringo i denti perché devo tutto a Dio, al mio manager, a MTV e ai colleghi che mi prendono come punto di riferimento (risate, ndr)

Perché secondo te c’è così tanta gente che fa, o prova a fare, il tuo stesso mestiere? C’è a tuo parere sufficiente preparazione? C’è solidarietà tra colleghi o aspiranti tali, oppure prevalgono invidie e frustrazioni?
Mi riesce difficile generalizzare, ma una cosa la posso dire. C’è una gran differenza fra il mondo del giornalismo musicale come viene percepito da fuori e com’è in realtà. Si è spesso è attratti da un’idea romantica della scrittura rock, dall’idea di entrare in contatto con gli artisti, dall’impressione che certe testate siano solide e professionali. E si finisce in un modo fatto di editori truffaldini, direttori che ti rubano gli articoli e li firmano col proprio nome, di contatti con chi fa musica molto inquadrati, di milioni di pagine scritte gratuitamente, o quasi. Su invidie e frustrazioni non saprei, mi tengo alla larga da quella gente.

Quali sono i tre momenti/servizi migliori (professionalmente parlando) che hai vissuto/realizzato fino a questo momento?
In generale, la soddisfazione di avere contribuito a trattare in modo serio e approfondito il rock classico, sul modello irraggiungibile di testate come Mojo e Uncut, in un’epoca in cui farlo non era esattamente cool. Se proprio devo citare un’esperienza, direi che andare a Seattle, intervistare musicisti, produttori, giornalisti e scrivere un libro sulla relazione fra la città e il grunge è stato favoloso. Lo è stato anche vedere i Pearl Jam sul palco, dietro il rack delle chitarre di Stone Gossard, e poi passare un’ora e mezza con Eddie Vedder nel backstage.

Come vedi il mondo dell’editoria musicale online da qui a tre anni?
Spero che le testate musicali online sappiano attrarre gli investimenti necessari al loro sostentamento sviluppando un modello di business sostenibile che permetta loro di pagare adeguatamente i collaboratori. Che scoppi la bolla dei contenuti copia-e-incollati e che aumenti sempre di più il livello di autorevolezza. Che si ricrei un valore economico attorno alla nostra attività. E che gli editori tornino a investire nell’editoria musicale. Temo sia un sogno: la musica fa ancora girare milioni, l’editoria musicale no.

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