Com’è andato il concerto del 1 maggio 2017 (visto dal divano)

Ieri, come tutti sanno, è andato in scena, e contemporaneamente in onda su Rai3, il concerto del primo maggio. Arrivo tardi, volutamente tardi, ma nemmeno troppo. Sono le 17 quando ho la fortuna o sfortuna, sinceramente non l’ho ancora capito, di sedermi comodo sul divano e accendere la televisione. A darmi il benvenuto Clementino, mai così a suo agio su un palcoscenico, e la povera Camila Raznovich senza voce e più volte costretta a “rappare”, perché si sa il rap in Italia è visto come l’ultimo baluardo della comicità.

La piazza è piena, devono aver invitato degli artisti super immagino. Sfrutto quindi il rap della Raznovich per dare uno sguardo veloce alla line up. La scaletta di giornata è composta da mezzo cast del Mi Ami festival, saranno contenti gli amici di Rockit, e un terzo di quello dell’ultimo Festival di Sanremo, sarà contento Carlo Conti. 
Clementino si è finalmente accorto che la Raznovich non ha più voce e inizia a condurre. Da lì in avanti il ritmo diventerà serrato. Canta un gruppo, finisce, lo si saluta e via con il prossimo. Zero pause.

Sul palco arrivano gli Ex-Otago, il loro album “Marassi” ha avuto una spinta incredibile da Radio Deejay che gli ha passato praticamente tutti i singoli. Il gruppo genoano che piace alla gente che piace ha fatto una performance che definire imbarazzante è un complimento. Il cantante, Maurizio Carucci, ha stonato come non mai, rovinando tutti i pezzi. Sarà un caso mi dico, alla fine capita a tutti di steccare. È il turno di Motta, un gigante in mezzo ai bambini. Certo, la simpatia non è il suo forte, ma almeno canta decentemente, quindi inutile perderci troppo tempo. 
Dopo di lui in scaletta è segnato Sfera Ebbasta, uno che i dischi li vende ed è forse per questo motivo che all’ultimo ha deciso di non presentarsi. 
Spazio quindi alle Luci della centrale elettrica. Vasco Brondi per fare compagnia alla voce degli Ex-Otago stona come un disperato. Lo dico con il massimo rispetto: o non si sentono, o sono tutti un po’ stonati di loro. Penso più alla seconda. Lo so che giudicare un gruppo dalla tv è il più delle volte rischioso, ma è anche vero che se uno stona, stona anche su Marte. 
Arriva Bombino. Il chitarrista e cantautore nigeriano almeno non stona, ma fa assopire tutti. Il pubblico non si sveglierà più.

Pausa tg3. Sembra passata una vita, ma sono soltanto le 19. Compaiono in ordine Renzi, un politico di cui non ricordo il nome e Luigi Di Maio. La vera notizia è che almeno loro non stonano. Potrebbero mettere su un gruppo, nella scena italiana quello slot è ancora scoperto.

Dopo l’enorme intervallo, concesso da mamma Rai per drogarsi, alle 20 spaccate ricomincia la serata. Uno si immagina arrivi un big e invece Clementino e la tizia senza voce annunciano i La Rua. Chi? Ah sì, la band col tamburo di Amici che non ha passato le selezioni di Sanremo giovani dai. Segno che i tempi sono proprio cambiati. Non serve più vendere i dischi, due mesi di tv bastano per suonare nella seconda parte del concertone. Almeno i La Rua, detti anche gli Imagine Dragons di Maria de Filippi, non si spaventano del palco e offrono una performance decente. Sono stupito, davvero. Partono i sei bellissima, la Raznovich si ringalluzzisce prima di accorgersi che i complimenti sono tutti per Levante. Dopo la bella e brava Levante, che si conferma sempre di più come cantante pop, arrivano gli Editors. Artisti internazionali, super gruppo, dai che finalmente parte la serata. Macché. Inizia pure a piovere, nessuno canta perché tutti imprecano e cercano riparo. Tre canzoni e via di corsa, a casa.

È il turno de Lo stato sociale. Sono davvero curioso, il gruppo bolognese ha appena fatto registrare il tutto esaurito al Forum di Milano, mi aspetto molto. L’avessi mai detto. Se l’indie italiano viene considerato come la “salvezza” della nostra musica, allora siamo messi male a tratti malissimo. Lo Stato sociale prova a fare la band impegnata, ma tra un “regaz” e l’altro crea soltanto imbarazzo. Si criticano tanto i testi e lo spessore di personaggi pop come Fedez, ma qui non andiamo molto lontano, anzi. Certo, suonano decentemente, per carità, ma davvero basta così poco per riempire palazzetti e suonare tra gli artisti di prima fascia?

Sparate a salve tutte le cartucce indie, è il turno di Sanremo. Si gioca in casa quindi. Ecco il vincitore Gabbani. Lo dico subito: Francesco Gabbani, paragonato alla pochezza degli “artisti” precedenti, sembra Robbie Williams. 
Sono le 21 e la piazza si riprende dal letargo iniziato poco dopo la performance di Bombino. Tutti cantano, tutto sommato è uno spettacolo decente. Un bel segnale per Francesco, un bel segnale per Carlo Conti, decidete voi che tipo di segnale sia per lo stato della nostra musica. 
Arriva Brunori Sas, che dice di non fidarsi dei cantanti. A chi lo dici Brunori, a questo punto io non mi fido nemmeno di chi va ai concerti di questi cantanti, pensa un po’. Brunori, comunque, è uno dei pochi capace di onorare quel palco. Non gli si può dire niente. Dopo di lui arriva Maldestro. Uno ci prova, pensa di averle viste tutte, ed è proprio in quel momento che la vita decide di darti la bastonata definitiva, perché ripeto, con tutto il rispetto possibile, però cosa ci fa a quest’ora uno come Maldestro? A tappare i buchi forse.

Ecco il maestro Edoardo Bennato, finalmente si alza il livello. In Rai però, durante l’esibizione di Maldestro, devono essersi addormentati saltando così un stacco pubblicitario. L’esibizione di Bennato quindi viene rimpiazzata dalla pubblicità, un vero peccato. Sono stremato e non riesco più a lamentarmi, sono le 23 passate. Nell’ultima ora salgono in ordine: Ermal Meta che conferma il suo stato di grazia, Fabrizio Moro che conferma il fatto che i talent servono solo alle carriere dei “giudici”, e Samuel che si accorge della catalessi del pubblico e si intristisce, sfornando una performance come quella di Nagatomo durante Inter-Napoli.

In chiusura, Planet Funk e Public Service Broadcasting sono il giusto sottofondo per il pubblico diretto, già da tempo, verso casa. Sono le 24, partono i titoli di coda e ripenso alle quasi 7 ore davanti alla televisione. Cosa ci ha lasciato questo concertone del primo maggio? Uno scenario alquanto apocalittico. Tanto imbarazzo e disagio, forse, con la consapevolezza che la musica italiana è malata quanto il suo pubblico, non si salva nessuno.