Daniel Marcoccia ha legato il proprio nome a quello dell’edizione italiana della rivista Rock Sound, portandola al successo e all’attenzione di tantissimi appassionati italiani negli anni duemila. A mero titolo informativo, è stato anche il primo giornalista vero a credere in noi più di sette anni fa…
Con quali testate musicali cartacee/online lavori/hai lavorato?
Ho iniziato con il mensile Raro, una buona gavetta, per poi dedicare molti anni a Rock Sound, la rivista alla quale sarò sempre associato e alla quale si erano aggiunte successivamente Groove e Rockstar. Ho poi provato a lanciare una rivista da sfogliare online, RockNow, ma dopo due anni abbiamo smesso. È al momento ferma ma magari un giorno ci viene voglia di rifarla. Attualmente scrivo d’altro ma capita di fare qualche articolo per Newsic.it o per la rivista francese MyRock.
Scrivi di musica tutt’ora?
Quando capita. Mi piacerebbe farlo più spesso ma attualmente l’ambiente del giornalismo musicale non mi entusiasma molto. Come non mi entusiasma neppure il mondo della discografia di oggi, che spesso non mette il giornalista nella condizione di fare al meglio il proprio lavoro.
La tua mansione principale attuale è il giornalista?
Sì, anche se scrivo d’altro. E faccio anche altro.
Perché l’editoria tradizionale è scomparsa o è comunque in agonia da anni? È solo colpa degli editori?
Gli editori hanno sicuramente qualche colpa, soprattutto quelli che negli anni hanno pensato più ai propri interessi che non a fare riviste di qualità. Infatti, molti giornali hanno poi chiuso. L’editoria tradizionale, quella cartacea, è stata sicuramente martoriata da Internet, dalla possibilità di avere tutto e subito sul proprio schermo e senza uscire di casa. Sono così scesi gli investimenti nella stampa tradizionale ma allo stesso tempo non c’è stato un incremento percentuale simile di quelli nel Web. Aggiungiamo poi un ricambio generazionale che non è cresciuto con la (sana) abitudine di comprare un giornale e poi leggerlo. Molti giovani non hanno mai comprato neppure un CD, figuriamoci una rivista musicale, preferendo il “tutto e subito” offerto da Internet. Anzi, “tutto e subito e in poche righe” perché spesso non si va oltre un titolo e quattro righe.
Quanto internet ha cambiato l’editoria e in particolare modo quella musicale? Quanto credi che i social network abbiano influito nel cambiare (potenziandoli, diversificandoli o depotenziandoli) il ruolo degli stessi? Pensi che una fanpage sia allo stato attuale più o meno importante del sito stesso?
Con Internet abbiamo visto arrivare una generazione che non compra CD, non va in edicola a prendere il proprio giornale preferito e che trova tutte le informazioni di cui ha bisogno su Wikipedia. Abbiamo così visto nascere molti siti dedicati alla musica, parecchi dei quali fatti davvero male. I social network hanno un forte potenziale comunicativo, veicolano qualsiasi notizia in pochi secondi e con la fantastica possibilità di arrivare ovunque. Ma non credo che possano soppiantare un sito vero e proprio. Il social network è secondo me l’accessorio in più a disposizione del sito.
Come convivi con la notorietà nell’ambiente e con l’essere preso come riferimento da altri colleghi per quanto fatto fino a oggi?
La mia regola è sempre stata “fare quello che mi piace divertendomi” e non ho mai amato troppo i giornalisti che cercano di essere dei personaggi o addirittura delle “rockstar” più delle rockstar stesse. È comunque appagante se la gente mi rispetta perché ho fatto delle belle riviste o scritto qualche bell’articolo. Ammetto tuttavia di provare parecchia soddisfazione quando incontro ragazzi che mi dicono “Rock Sound è stata la mia rivista preferita, sono cresciuto leggendo quel giornale”. Lo è ancora di più se quelle persone suonano ora in una band, fanno dischi o altre attività legate alla musica.
Perché secondo te c’è così tanta gente che fa, o prova a fare, il tuo stesso mestiere? C’è a tuo parere sufficiente preparazione? C’è solidarietà tra colleghi o aspiranti tali, oppure prevalgono invidie e frustrazioni?
Perché pensano spesso, sbagliando, che sia solo questione di ascoltare un disco, andare a un concerto e scriverne due cazzate. Una volta ti davano pure un sacco di dischi e gli accrediti per i concerti erano sempre sicuri… Oggi, se ti va bene, recensisci un disco in streaming e sei pagato a 90 giorni.
Per quanto riguarda la preparazione, credo che la cultura che ci siamo fatti noi “vecchi” leggendo riviste sia insuperabile. Oggi vai su Wikipedia e trovi tutto quello che devi sapere. Poi, comunque, rimane una questione di passione.
Ci sono sempre state invidie e frustrazioni, soprattutto tra testate. Robe tipo “perché hai dato l’esclusiva a lui e non a noi” oppure “perché hai mandato quel giornalista a Londra e non io”. Le rivalità e invidie non le ho mai capite (e potrei raccontarne tante…), anche perché non ci stiamo dividendo una torta ma delle briciole. Forse sono finite pure quelle.
Quali sono i tre momenti/servizi migliori (professionalmente parlando) che hai vissuto/realizzato fino a questo momento?
Tanti. Troppi. La preparazione del primo numero di Rock Sound rimane importante per il suo carico di adrenalina, tensione e stress. Memorabile il viaggio a Seattle per l’uscita del terzo album degli Slipknot e appagante l’organizzazione del Rock Sound Tuborg Festival a Bologna con tanti gruppi italiani e stranieri… e molti ragazzini felici. Un bellissimo ricordo è stata anche l’intervista con Shirley Manson dei Garbage in occasione del loro ultimo album. Ero fuori dal giro ma stavo preparando RockNow e furono concesse soltanto tre esclusive: Virgin, Vanity Fair e… Daniel C. Marcoccia. Quest’ultima vale anche per la domanda precedente sulla notorietà e il rispetto.
Come vedi il mondo dell’editoria musicale online da qui a tre anni?
Sempre più forte, sempre più dinamico e con tanti protagonisti. Alla fine, come sempre, emergeranno i più bravi. Il problema dipenderà ancora dalla possibilità di fare bene il proprio lavoro. Le etichette discografiche devono dare la giusta importanza ai siti musicali (almeno a quelli seri) trattandoli alla pari dei quotidiani o riviste lifestyle, e concedendo loro esclusive e soprattutto il tempo necessario per realizzare una bella intervista. Altrimenti si continuerà a leggerle sui siti stranieri, che da tempo vantano un maggiore riconoscimento.