Non so se vi siete accorti che sono stata a Sanremo. Forse sì, ma giusto perché ho scritto quelle due o tre cosette sui social. Se mi sono accollata mi dispiace, ma contemporaneamente non me ne frega un cazzo. Anzi, dovreste ringraziarmi perché ho contribuito a rendervi partecipi di un carrozzone mediatico con dei retroscena divertentissimi che senza la gente come me, che non ha nè filtri nè la paura che qualcuno possa venire a dirle qualcosa, non avreste mai conosciuto.
Molte delle cose che volevo dire ve le ha già dette Jacopo. Parlo dell’improponibile connessione wifi in un luogo che si chiama SALA STAMPA RADIO/TV e dove quindi si presume che uno le interviste video e audio le debba in qualche modo montare e soprattutto mandare a chi di dovere, cosa piuttosto difficile con una connessione a 56k; parlo del fatto che Sanremo sia una città bellissima, così come tutta la Liguria, ma che sia allo stesso tempo troppo difficile da raggiungere (ed era così anche gli anni scorsi, nonostante non ci fosse il problema frana); parlo di quelli che sono lì a lavorare non si sa per quale intercessione divina e che invece di ringrazire ogni giorno chi ce l’ha ingiustamente mandato, sta lì a scassare le palle a chi il suo lavoro lo fa come dovrebbe essere fatto, mettendo in ridicolo l’intera categoria. Leggendo quello che ha scritto Jacopo, ma anche passando il tempo al Festival con lui, mi sono accorta che su molte cose ci siamo trovati d’accordo. Pure se lui è un metallaro.
Stare a Sanremo con un pass al collo – anche se è il pass per la sala stampa radio/tv, che dall’anno scorso ospita anche buona parte del web, e che quindi non è quella figa che vedete nelle conferenze stampa alla tv – è bellissimo. Ti fa sentire parte di quel mondo del quale effettivamente non fai parte, ma nel quale un giorno speri di entrare. Ti sembra quasi di essere una giornalista vera, anche se non lo sei, perché il tesserino in Italia ormai pare che venga dato solo a una stretta cerchia elitaria, o a Manuela Villa. Io nella sala stampa dei fighi non ci sono mai entrata, eppure è il quarto anno che vado a Sanremo. Il primo anno ero una delle più giovani, insieme ai miei colleghi, ed era bello vedere le persone guardarti come se lì ci fossi finita per caso, e invece io ero a fare il mio lavoro proprio come loro. E, se vogliamo dirla tutta, lo facevo anche meglio.
Perché i blogger, nel 2014, vengono ancora guardati come se fossero quelli di serie b e che non hanno un cazzo da fare. Perché se sei de La Stampa e del Corriere allora va bene, allora puoi anche permetterti di twittare il vincitore 10 minuti prima della proclamazione o prendere papere colossali, allora va bene perché fai parte del Gotha, se però io che non sono nessuno twitto la scaletta allora apriti cielo, e via di ramanzine e gente che si riempie la bocca con la parola EMBARGO, e sì ok sappiamo tutti cos’è l’embargo, però allora perché noi sfigati dobbiamo rispettarlo e gli altri no? Perché se il vincitore lo avesse twittato Outune ci avrebbero arrestati (andare in galera per Sanremo col cazzo proprio però eh, ndJC), e invece se lo twitta il corriere nessuno dice niente? Sì, perchè sui social il casino si è scatenato e Arisa era anche palesemente amareggiata – nonostante la quantità di xanax in corpo che stenderebbe un cavallo – ma in conferenza stampa nessuno ha detto niente. Avrei potuto farlo io? Forse sì.
Nel 2014 i blog e i siti indipendenti sono super letti, li legge chi si è stufato di quel giornalismo tutto uguale, vincono addirittura i premi, tutti si riempiono la bocca con le parole social media e noi qua ancora qua a decidere cosa sia giornalistico e cosa non lo sia, e allora vi meritate le recensioni tutte uguali, i live report tutti uguali, le interviste tutte uguali. E io lo chiamo giornalismo, ce lo chiamo anche se la forma non è quella propriamente tale, io mi reputo una che scrive anche se non rispetto i canoni. Che poi chi li ha decisi questi canoni, io non lo so mica. Sanremo è vecchio, è vero che l’età media dei cantanti in gara si è notevolmente abbassata, ma non conta. La conduzione è vecchia, la maggior parte degli ospiti sono vecchi, ed è vecchio il giornalismo italia, quello di una certa importanza. Sono vecchi persino i cantanti nella categoria giovani. Io dico che un po’ la colpa è anche di chi accreditate. Svecchiare è semplice: se, ad esempio, quelli di Blogosfere avessero la priorità rispetto a un vecchio de La Repubblica, forse molti più giovani seguirebbero il festival. Se i social fossero gestiti in modo divertente e acccattivante, invece che riportare solo le cose che succedono sotto gli occhi di tutti i telespettatori, forse una buona fetta di detrattori cambierebbe idea, o almeno parteciperebbe al dibattito. Se io devo ritrovarmi a dovermi alzare in piedi per difendere i Perturbazione , definiti da uno dell’età di mio nonno Aldo “illustri sconosciuti” prima della partecipazione al festival, perché questa gente definirebbe giovane Al Bano e se devo aver paura di non poter mai entrare in qualche testata famosa perché ho scritto con sincerità tutto quello che i miei occhi hanno visto – ché a leccare il culo 24 ore su 24 ci pensa già altra gente – allora forse stiamo sbagliando qualcosa.
Perché io, così come altri miei colleghi coetanei, siamo quelli che se dobbiamo andare a intervistare un artista classe 1950 ci andiamo a fare mille ricerche per non sfigurare, però se uno che fa questo lavoro da quando mia madre aveva 18 anni non sa chi sia The Niro e non ha nemmeno la voglia di andare a fare una breve ricerca per evitare di fare una figura di merda dicendo che “non ti avevo mai sentito nominare prima di Sanremo” allora va bene (The Niro ha pubblicato tre album in inglese, NDR). Il mio Sanremo 2014 è stato bello perché l’ho vissuto sul posto e l’ho vissuto bene, magari per voi che lo avete visto da casa ha fatto schifo, e io non posso darvi torto. Io però ho rivisto persone che vedo solo una volta l’anno, e che stimo per quanto si sbattono per fare il loro lavoro. Ho visto gente che ha il lavoro che vorrei avere io e che mi ha trattata come fossi al loro stesso livello e ho visto chi, invece, non meriterebbe nemmeno di stare in una ferramente.
Ho conosciuto, anche se per un secondo e mezzo, quel Paolo Nutini (cover story) che tanto mi fa girare la testa, ho conosciuto persone che mi seguono su internet e mi è sembrato stranissimo, ho mangiato la farinata che a Roma non si trova mica, ho bevuto gratis a Casa Sanremo e ho persino occupato la pista da ballo, cosa che non faccio nemmeno se mi pagano. Ha vinto una canzone che non mi piace, ma almeno mi piace l’artista che la interpreta. Spero di avervi fatto almeno un po’ divertire. Ci sentiamo l’anno prossimo, magari qualcosa cambierà.
P.S: Il mio voto finale al festival è 4. Il mio voto finale al mio festival è 10, come sempre. 10+4 fa 14 che diviso due fa 7. Se volete un festival che sia almeno oltre la sufficienza, il prossimo anno chiamate me.