Intervista a Francesco Castaldo, fotografo

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Francesco Castaldo è fotografo professionista specializzato in fotografia musicale. Per chi segue i concerti, è impossibile non aver notato la sua cresta, così come è impossibile non aver visto online (ma anche su carta) i suoi scatti live.

Con quali testate e/o grossi siti musicali collabori o hai collaborato?
Collaboro più o meno stabilmente con Rockol e Metalitalia.com. Ho collaborato direttamente, per diverso tempo, con una rivista australiana, saltuariamente su riviste inglesi e americane. Le mie foto vengono distribuite anche da due agenzie, che le rivendono a riviste nazionali, internazionali e quotidiani. Volutamente non cito i nomi. Sul mio sito ho tolto i riferimenti e sui social non condivido le scansioni degli articoli. Se da un lato, farlo, potrebbe confermare che non fotografo musicisti solamente per pubblicare una foto sul mio profilo Instagram, dall’altro, quando condividevo il nome delle pubblicazioni, ho preso non poche pugnalate alle spalle.

Quali sono stati i servizi e/o i momenti/periodi più memorabili per la tua carriera da fotografo?
Ai fotografi accreditati per la stampa ai concerti, se ancora qualcuno non lo sapesse, non è concessa molta libertà. Più l’artista che si esibisce è popolare, più le restrizioni sono rigide. Quello che succede è quindi di venire scortati nella zona tra pubblico e palco, il pit, poco prima dell’inizio del concerto per poi essere accompagnati fuori al termine dei 2/3 brani che ci è concesso di fotografare. Anche ai concerti di minore portata, in cui magari c’è meno rigidità, comunque non c’è un contatto con l’artista. A meno che non si stia lavorando direttamente per lui, allora cambia tutto.
In anni di frequentazione di palchi di concerti e festival tuttavia alcuni aneddoti memorabili nei backstage li ho vissuti: molti fanno e faranno sempre parte di ricordi personali che non voglio condividere, altri non li posso proprio raccontare. In un’occasione ad esempio, lavorando alla data di Milano di un artista di fama mondiale, ho dovuto firmare un contratto di nove pagine in cui, tra le varie clausole, era specificato che non avrei dovuto mai parlare o scrivere di quello che avrei visto e sentito e non avrei dovuto condividere sui social network, nemmeno un checkin. Peccato perché l’aneddoto è divertente e per nulla scabroso, come si potrebbe immaginare dopo aver letto un contratto simile.
Per questo dico sempre che se qualcuno fosse alla ricerca di un contatto con il proprio artista preferito, sconsiglio di intraprendere la carriera di fotografo (perché sì, ci sono persone che lo fanno solo per questo). Chi desidera passare una ventina di minuti con la propria band preferita può tentare di farsi dare l’incarico di intervistarla. Vedo molti più selfie sui social network di reporter assieme agli artisti piuttosto che di fotografi. Poi certo, bisogna tenere conto delle imprecazioni del discografico che accompagna l’artista, che si segnerà mentalmente di non acconsentire mai più alla richiesta della testata, ma questo poco importa se l’obiettivo era appunto conquistare un selfie.
Ti posso raccontare di quella volta che ero a Torino al concerto di Slash featuring Myles Kennedy And The Conspirators. A un certo punto Myles Kennedy è sceso dal palco salendo su una delle casse appoggiate di fronte, proprio nel punto in cui ero io, ed ha allungato il pugno facendo il gesto del fist bump. Inizialmente non capivo… ho fatto una foto, poi ho tolto l’occhio per guardare dietro di me, pensando che Myles si stesse rivolgendo a qualcuno del pubblico. Capita spesso che l’artista sul palco si avvicini alle transenne per un contatto fisico con il proprio pubblico… ma quella sera le transenne erano ben distanti e per qualche ragione a me sconosciuta Myles voleva salutarmi con un fist bump. E che dovevo fare? L’ho accontentato, fotografando il momento con la mano libera. Sono quasi riuscito a deludere Stix Zadinia invece, batterista degli Steel Panther. Nel back stage dell’Alcatraz, prima del loro primo concerto in Italia, aveva allungato il pugno facendo sempre lo stesso gesto di saluto… Io non capivo e l’ho lasciato lì con il pugno alzato una manciata di secondi di troppo, così l’ha ritirato con un broncio sconsolato sul volto. Appena ho capito ho rimediato immediatamente. Poi il backstage degli Steel Panther… beh è interessante per diversi motivi.

Come convivi con la notorietà e l’essere preso come riferimento da altri colleghi per quanto ottenuto fino a oggi?
Male, molto male. Sono una persona molto timida e riservata, soprattutto con chi non conosco o conosco poco. Qualcuno potrebbe pensare che sia una sorta di snobismo… no, è proprio il mio carattere e purtroppo questa chiusura non mi aiuta nel mio lavoro, ma questo è un altro problema.
C’è stato un periodo in cui tra MySpace e Facebook avevo molte migliaia di contatti, molti mi facevano i complimenti, molti mi invidiavano (in senso buono, spero) per quello che facevo, molti mi dicevano che volevano farlo anche loro chiedendomi istruzioni. Inizialmente rispondevo educatamente spiegando che era appunto un lavoro per un professionista, non un modo per avvicinare il proprio artista preferito. La quantità di messaggi di questo tipo, rispetto al resto, era diventata insostenibile.
Apro una parentesi: cosa fa il fotografo di scena ad un concerto? Rende quel concerto “immortale” attraverso le sue foto. Sì ma in pratica? Come anticipavo prima, si hanno a disposizione due o tre canzoni, spesso dal pit, qualche volta dal mixer, per fotografare quello che accade sul palco. Non tutto quello che accade in questi minuti va necessariamente fotografato. Il fotografo segue l’azione, cerca di prevedere quello che capita e di fotografare i momenti più intensi secondo il suo stile. Se il pit è ingolfato di persone che non permettono nessun movimento, le esigenze dello stile non sono più soddisfabili e subentra la frustrazione: capisci che sta per accadere qualcosa e che avverrà dalla parte opposta del palco rispetto a dove ti trovi in quel momento; guardi di lato e vedi che c’è un ingorgo di persone che non ti permetterà di raggiungere la zona da cui vorresti fotografare la scena. Diventa più una questione di fortuna: se sei fortunato ti capita qualcosa davanti al punto in cui sei tu in quel momento. Ma lasciare che sia la fortuna a stabilire il risultato della tua professione è molto, troppo rischioso. I pit sono troppo, troppo affollati. Parentesi chiusa.
Così ho trasformato il mio vecchio profilo Facebook in pagina pubblica che, volutamente, trascuro abbastanza, e che mi porta molta meno visibilità rispetto a tre anni fa. I social network possono portare potenzialmente molti nuovi clienti a piccoli business, ma nel mio caso, in campo musicale, i clienti sono riviste ed artisti, non i fan delle band che fotografo (che tra l’altro molto spesso si scandalizzano se una stampa di una tua foto ha un prezzo) o persone che aspirano a fare quello che faccio. Non cerco la fama, non cerco l’approvazione da parte di altri fotografi che anzi mi mette in imbarazzo. Preferirei l’apprezzamento del mio lavoro da parte dei musicisti, che negli ultimi anni purtroppo arriva spesso in concomitanza con il “furto” di una o più foto.

È questo il tuo lavoro principale? È/Non lo è per scelta o per necessità?
No, fotografo anche altri tipi di soggetti, non solo musicisti. Inizialmente era una necessità, ora è una scelta consapevole. Cambiare soggetto mi rinfresca un po’ le idee e mi distrae dalla frustrazione di non essere in giro per il mondo a fotografare il tour dei Bon Jovi, Jessie J o Katy Perry 🙂

Di quanto la retribuzione per un servizio fotografico è cambiata negli ultimi tre anni? Differenze principali tra cartaceo e online?
È in costante diminuzione. Tre anni fa un lavoro per un artista che comportasse una giornata di ripresa intera riuscivo ad ottenere un compenso ragionevole. Oggi se chiedi il giusto non ti rispondono più nemmeno per cercare di contrattare, passano direttamente a qualcun altro. Quant’è il giusto? C’è un interessante video di Tau Visual, l’associazione nazionale fotografi professionisti, che discute proprio di questo. Il compenso dovrebbe tenere conto dell’esperienza, del fatto che il fotografo non effettua un servizio fotografico tutti i giorni, che ha delle spese di acquisto e mantenimento dell’attrezzatura, che fa parte integrante del lavoro il tempo impiegato per procacciarlo.
Assomusica invece definisce in crescita il trend degli introiti generati dai concerti. Quindi mi spiego sempre con più difficoltà quegli artisti con cachet da 50.000 – 100.000 euro a concerto a cui, quando proponi un progetto editoriale, rispondono che non c’è budget, per poi farlo realizzare uguale dal cugino, dal nipote o dal webmaster.
Online le foto valgono pochissimo. Siamo passati da un periodo in cui per leggere e vedere contenuti bisognava pagare il prezzo di una rivista o di un quotidiano, ad oggi in cui online è disponibile tutto gratuitamente e gli investimenti pubblicitari permettono a pochissimi editori di avere introiti che sostengano l’attività. Dal punto di vista economico, una foto acquistata direttamente da una rivista potrebbe equivalere a 20 foto vendute ad un portale attraverso un’agenzia. Sulla rivista poi influisce la dimensione (mezza pagina, pagina intera, su due pagine) e la posizione (copertina, interna, etc.) mentre su un sito no.

Perché secondo te c’è così tanta gente che fa, o prova a fare, il tuo stesso mestiere? C’è solidarietà tra fotografi o invidie e frustrazioni provocano frizioni e divisioni?
Perché dal di fuori sembra il lavoro più bello del mondo, perché si crede che con un pass foto si possa diventare amici dei propri artisti preferiti ignorando, ad esempio, che a novembre ci si scontra con l’anticipo delle tasse dell’anno successivo, il che comporta qualche sorriso in meno e qualche capello bianco in più. Perché nonostante tutto è un gran bel lavoro. Come dicevo, sono un eremita: non mi rapporto tantissimo con gli altri fotografi. Ogni tanto gira qualche gossip piuttosto che qualche invidia per l’assegnazione di un pass… ecco queste cose sì, mi strappano una risata.

Quali sono le principali differenze con l’estero?
Non ti so rispondere, non ho avuto esperienze dirette all’estero. Leggo in un gruppo Facebook internazionale che nei pit esteri ci sono più o meno gli stessi problemi che abbiamo noi: gente che alza la macchina davanti alla tua entrandoti nell’inquadratura non controllando se c’è qualcuno dietro di loro, contratti assurdi da firmare per poter fotografare qualche big il cui management è un po’ troppo petulante, artisti che utilizzano le fotografie dei fotografi senza acquistarne la licenza etc. etc.

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