Manca poco alle tre date italiane degli Iron Maiden. Una delle colonne portanti del metallo pesante, una band che fin dagli albori del genere ha dettato le regole e raccolto gli allori tributati da fans in ogni angolo del mondo, che sempre sono accorsi in massa a celebrare la gloria di uno dei gruppi Heavy Metal per eccellenza.
Per celebrare il ritorno in Italia della storica band, Panorama e TV Sorrisi e Canzoni presentano tre uscite dedicate al gruppo di Steve Harris e compagni:
19 luglio l’ultimo album “The Book Of Souls” (doppio CD a €12,90 prezzo rivista esclusa)
26 luglio il doppio live CD “Death On The Road” registrato a Dortmund nel 2003 (€12,90 prezzo rivista esclusa)
02 agosto il DVD “Visions Of The Beast” con la videografia ufficiale della band uscita nel 2003 (Doppio DVD a €14,90 prezzo rivista esclusa)
Ho voluto fare una piccola playlist per tutti voi, scegliendo un solo brano per ogni disco, non necessariamente il più rappresentativo o famoso, ma affidandomi al mero gusto personale, cercando qualche perla nascosta magari ingiustamente dimenticata dai fan e dalla band.
Iron Maiden – Phantom of the Opera
Partiamo dal primo storico disco e prendiamo uno dei pezzi più celebri e allo stesso tempo probabilmente meno immediati del platter. Perché? Perché per quanto si critichi la “svolta progressive” intrapresa negli ultimi anni, la band una passione per la composizione di brani lunghi, intricati e ricchi di cambi di tempo ce l’aveva già agli esordi. E anche perché è uno dei loro pezzi più fichi di sempre naturalmente.
Killers – Murders in the Rue Mourge
Brano pregno di quella furia ruvida e selvaggia dei Maiden degli inizi, con in primo piano il basso di Harris ed un Di’Anno ancora in ottima forma. La vena horror, ispirata dal celebre racconto di Poe, è presente anche nei testi e non solo nelle shockanti copertine dei dischi. Per molti l’ultimo grande disco dei Maiden, per me un ottimo successore del disco d’esordio, ma il meglio della loro discografia sarebbe arrivato negli anni immediatamente successivi.
The Number of the Beast – Hallowed Be Thy Name
Scelta banale? Forse, ma scelta imprescindibile. IL capolavoro della band, altro brano piuttosto lungo e ricco di cambi tempo. Un testo indimenticabile, un Dickinson, agli esordi con la band, che ci fa subito capire di che pasta è fatto, e degli intrecci di chitarre che diventeranno presto lo standard per i Maiden ed una delle caratteristiche di base di tutto un genere. Disco fondamentale e brano immenso, e poi quella galoppata strumentale di tre minuti buoni alla fine del pezzo…
Piece of Mind – To Tame a Land
Uno dei loro dischi migliori in assoluto. Non c’è un filler che sia uno. Ok, è quasi un delitto non aver scelto The Trooper (in tutto e per tutto l’essenza dei Maiden e dell’Heavy Metal stesso), ma ho però scelto di estrarre non solo i grandi classici ma anche i brani “dimenticati”. Penso che “To Tame a Land” sia uno di quei pezzi che maggiormente rappresenta questa categoria, insieme a “Quest for fire”, altra perla sempre presente su questo album. Pezzo lungo, ritmiche serrate, nessun ritornello, apertura arpeggiata (si, quella lì), cavalcata in perfetto stile Maiden, e virata finale con cambio di ritmica e lunga chiusura strumentale. Il testo è ispirato al romanzo Dune, di cui il brano dovrebbe portare il titolo (compare in effetti solo sulla prima stampa italiana dell’LP), ma l’autore non concesse i diritti di utilizzo alla band.
Powerslave – Aces High
Altro disco capolavoro. Scelta difficilissima. Ho scelto di petto, senza pensarci troppo. Brano d’apertura non solo di questo album ma del tour successivo (e della pietra miliare tratta da quel tour: “Live After Death”). Un Dickinson all’apice della forma nel periodo migliore di sempre della Vergine di Ferro. Altro capitolo importantissimo del libro “Come scrivere un pezzo metal”.
Somewehere in Time – Alexander the Great
Il disco che ha fatto storcere il naso ai die-hard fans negli anni 80. I sintetizzatori tanto odiati dai metallari, un certo “ammorbidimento” del sound, ma a conti fatti un altro caposaldo della loro discografia. Il brano di chiusura è una vera e propria perla. Inspiegabilmente mai comparso in una setlist dal vivo, è un altro di quei pezzi lunghi ed intensi, ricchi di epicità e pathos dall’inizio alla fine.
7th Son of a 7th Son – The Prophecy
Questa è stata una delle scelte più dure : ennesimo disco perfetto, senza l’ombra di filler. Forse il loro apice compositivo assoluto. Ho optato per il brano meno probabile dell’intero lotto, ma uno di quelli che, personalmente, mi prese fin dal primissimo ascolto. E poi è una delle pochissime song dei Maiden a firma Dave Murray. Ancora una volta fate attenzione alla parte strumentale in chiusura.
No Prayer for the Diyng – Mother Russia
Altra scelta difficile, da uno dei dischi meno amati dai fans. Tinte scure e brani molto particolari, lontani dai canoni della band per un disco davvero strano, il primo senza Smith e dove anche la voce di Dickinson ha qualche cosa di “fuori posto”. Forse una delle sue prove meno brillanti, probabilmente c’era già aria di fuga anche per lui (di questo periodo infatti è anche il suo esordio da solista). Anche in questo caso ho scelto di petto e sono andato a pescare il brano che celebra la gloria della Grande Madre Russia. Le caratteristiche di questa traccia scommetto che ormai le sapete già, vediamo se avete imparato la lezione…
Fear of the Dark – Afraid to Shoot Strangers
No, non ce la metto la title-track, anche se è un classicone dei Maiden al punto di finire pure nelle setlist dei tour celebrativi dei periodi antecedenti a questo disco. Oh, a me piace un botto e quando lo suonavo mi divertivo un casino, ma sul disco (un altro di quelli osteggiati tantissimo dai fans) ci sono una cifra di altri buoni pezzi. Afraid to Shoot Strangers è uno di quelli, molto fuori dagli schemi classici della band, e con quelle parti arpeggiate che dal vivo mi hanno sempre messo i brividi. Che voglia di risentirla live…
The X Factor – Sign of the Cross
Cambio di voce: arriva Blaze e iniziano le critiche feroci…eppure questo disco è forse il più ispirato dai tempi di 7th Son. Il brano di apertura è (ancora una volta) una lunga composizione ricca dei soliti cambi di tempo e dalle tinte dark, ispirata a “Il nome della rosa” del compianto Umberto Eco. Blaze inizia col botto e si rende protagonista di uno dei momenti più riusciti di tutta la sua breve parentesi in casa Maiden. Epicità straripante ed i soliti, meravigliosi, intrecci di chitarra. Che volete di più ?
Virtual XI – The Clansman
A mio avviso l’episodio più basso della discografia della band, davvero difficile difenderlo ed ancora più difficile trovarci del buono. Brani banali e tutti fatti con la stessa struttura, gli Iron sembrano svogliati. Blaze è affaticato, forse accusa il botto del disco precedente e del mega tour mondiale. Fatto sta che qui, a parte The Clansman (insperata perla) non c’è davvero null’altro da salvare.
Brave New World – Blood Brothers
Il disco del ritorno alla line-up originale e quello della nuova rinascita della band. Con Smith e Dickinson di nuovo in formazione la vena compositiva di Harris ritrova vigore e i Maiden escono con quello che probabilmente è il disco migliore di sempre dal post-7SOA7S. Dal platter emergono tuttavia quelle rivoluzioni stilistiche che verranno ampliate nei lavori successivi e che sono state causa di critiche da parte di fans e stampa. “Blood Brothers” è uno dei brani meno canonici del disco, a molti non è mai andato giù, per il sottoscritto invece è stato amore al primo ascolto, quindi ve lo beccate.
Dance of Death – No More Lies
Ho detto che Virtual XI è stato l’episodio peggiore della carriera della band…ecco, mi ero scordato di aggiungere “..insieme a Dance of Death”. Anche se qui salverei qualcosa di più che un singolo brano siamo ugualmente a livelli molto bassi, un bruttissimo scivolone vista la qualità enorme del lavoro precedente. Ho scelto “No more lies” perchè quando l’ho sentita live è stata folgorante e ha reso molto molto più che su disco (al contrario di altri brani presenti su questa uscita).
A Matter of Life and Death – These Colours don’t Run
Il disco della discordia. Da qui è iniziata la “fase progressive” da molti osteggiata e criticata. Per quanto mi riguarda questo disco è perfetto così com’è, con le sue intro arpeggiate, i suoi brani dai tempi dilatati e la voglia di fare qualcosa di nuovo. Loro ci credevano talmente tanto che all’epoca portarono in tour il disco per intero, e i fans nonostante non gradirono accorsero in massa agli show (due date consecutive sold-out al Forum di Assago, mica noccioline). Avrei potuto pescare praticamente un brano qualsiasi e personalmente avrei sempre scelto bene, ma questo ha un ritornello che mi si è piantato in testa subito e non se n’è mai più andato.
The Final Frontier – Coming Home
Ci hanno preso gusto con quanto iniziato nel disco precedente. Qui la band porta all’estremo il tutto. A molti non è piaciuto, a me piace un po’ meno di AMOLAD e un pochino mi annoia. Tanta roba non mi è mai rimasta in testa, e questo, per un disco dei Maiden non è certo positivo. Però questo ritornello…lascia stare va’.
The Book of Souls – Death or Glory
E siamo ai giorni nostri, doppio disco, brani lunghi (anche se più della metà sono sotto ai 6 minuti a ben guardare), e addirittura il brano più lungo in assoluto della loro carriera. I Maiden dividono ancora critica e fans, ma il tour sarà il solito successo interplanetario. Ho scelto il pezzo che più di tutti mi ha ricordato i gloriosi fasti della band, una galoppata di poco più di cinque minuti che racchiude tutta l’energia che sono ancora in grado di sprigionare.
BONUS TRACK – Doctor Doctor
Pezzo che risale all’epoca Bayley, B-side del singolo “Lord of the Flies”, e che, nonostante questo, è ad oggi utilizzato come brano di apertura per gli show dal vivo. Uno dei pezzi-simbolo degli U.F.O. che non viene particolarmente stravolto in questa cover, ma che al contrario mantiene intatta tutta la sua carica esplosiva. Una delle prestazioni migliori del bistrattato Blaze ed il modo migliore per dare la carica prima degli show.
Corrado Riva