La morte dell’iPod, il lettore multimediale che cambiò il mondo della musica

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La mia prima volta è stata a diciotto anni. Mi ricordo che era la sera del mio compleanno e i miei amici avevano cercato di farmi bere abbastanza da aiutarmi ad essere meno impacciato nel momento clou. Credo sapessero che in fondo ero totalmente inesperto in materia e quindi per me sarebbe stata una svolta. Ed effettivamente, alla fine di quella serata, qualcosa era cambiato in me: ero finalmente anche io un possessore di prodotti Apple.

Sapendo che andavo in giro con uno scassone di lettore mp3, di quelli che per primi sperimentavano i tasti a tocco, e stufi delle mie lamentele su quanto facesse schifo, avevano deciso di regalarmi un iPod nano di terza generazione, con un’inspiegabile fotocamera posteriore e la scocca in metallo. Inutile dire che ne fossi rimasto affascinato fin dall’apertura della scatola: le linee erano eleganti, il design futuristico e c’era qualcosa di minimale che riusciva a mettere d’accordo anche gli utenti più esigenti. Per non parlare della pulizia del suono: finalmente potevo ascoltare “I Bet You Look Good On The Dancefloor” senza scambiarla per uno dei peggiori pezzi noise. Tutto contribuiva a dare valore aggiunto ad un prodotto che le pubblicità ci avevano fatto uscire dalle orecchie. Certo, non era ancora l’epoca in cui Justin Timberlake e Jimmy Fallon facevano da testimonial ma non si può nemmeno dire che la pubblicità facesse su iPod lo stesso effetto che sull’Uomo Ragno di Max Pezzali.

Racconto cose, però, che sono successe in un’epoca in cui Spotify non esisteva ancora e il traffico dati dei dispositivi era pari quasi a zero. Poi Spotify è nato. E la gente ha iniziato a navigare più dal telefono (smartphone, per la precisione) che dal proprio computer. A cosa serve farsi carico di qualcosa in più da cui si può “solo” ascoltare musica? E nemmeno tutta quella del mondo, fra l’altro. Metti che da un momento all’altro voglio passare dal black metal alla trance e non ho caricato entrambi i generi sul mio iPod? Una tragedia vera che si consuma, quella di non poter avere tutto subito. La tragedia di una generazione che sta crescendo con il vizio della tecnologia, passando dall’ascoltare un brano a vedere chi ha effettuato l’ultimo accesso in chat senza mai staccare il dito dallo schermo. O senza smettere di parlare, come accadrà con gli smartwatch super ricettivi, in arrivo a breve nel mercato della vita semplificata.
No, no, aspettate. So cosa state pensando e non è così. Non sono uno degli “apocalittici” di Eco, che vede il male nei media e ci si scaglia contro quasi per partito preso. Da bravo figlio degli anni ’90, del walkman e del lettori cd, credo però che ci sia una ritualità dietro la musica che inevitabilmente viene persa se premo “play” nello stesso dispositivo da cui poco prima inviavo cuori giganti e trombette festaiole. Non è integrazione, è dissacrazione di un momento per il trillo di una notifica, la morte della cultura in cui una periferica era deputata ad un solo utilizzo. Ma forse lo penso perché sono un “hopeless romantic” pur non avendolo tatuato da nessuna parte e questo è l’ennesimo passaggio da una generazione ad un’altra. Sicuramente è quello che pensa lo staff di Cupertino che, in tutta risposta, ha incluso nel prossimo iPhone un album degli U2. Un po’ come a dirci: «Tie’, prendete questo, ascoltate la musica e non rompete con ‘sto iPod». Che sì, sarà anche un’oculata scelta di marketing ma qualche vittima l’ha fatta. Tipo me, ad esempio.

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