Overkill a Oberhausen, la celebrazione di un mito

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Da dove comincio? Dal fatto che questo è stato il mio settimo concerto degli Overkill da quando Jaco me li fece conoscere nel 2005? Dal fatto che la prima volta è stata nel 2008, il che fa sette volte in nove anni? Dal fatto che mi sono fatto 900 km per vederli?

No no, meglio ripartire da capo.

Gli Overkill per me sono più del “gruppo preferito”: sono stati la mia salvezza. Suona esageratamente sensazionalistico ma è la verità. Nel 2005 due sole cose mi hanno tirato fuori dal periodo nero che stavo vivendo: la mia ragazza dell’epoca e la discografia degli Overkill. Ascoltavo il genere già da quattro anni, ma loro non li conoscevo ancora.

E forse è stato meglio così: si sono tenuti discretamente da parte per arrivare al momento giusto, quando più ne avrei avuto bisogno. In quei primi mesi ho imparato ad amare ogni singolo platter prodotto dall’inossidabile combo del New Jersey, ma il primo disco/dvd di cui mi sono innamorato veramente fu “Wrecking Everything Live”, annata 2003. L’ho ascoltato-visto talmente tanto che ancora oggi sono in grado di recitare a memoria le battute che Bobby spara prima di annunciare il prossimo pezzo, roba come “Same record, ass-kicker: IT LIVES!!!”, oppure “Now, Tim says that this song is gay, but personally I kinda like it: The Years Of Decay!”.

Ebbene, ad ogni nuova visione-ascolto avevo un solo pensiero fisso: da una parte l’invidia per non essere stato presente ad una simile commemorazione, dall’altra la CERTEZZA che un giorno o l’altro avrebbero replicato l’esperienza, ma questa volta sarei stato presente e in prima fila.

Ero pronto ad attraversare l’Atlantico perché davo per scontato che avrebbero organizzato il tutto nuovamente a casa loro, ma quando lo scorso ottobre è uscita la notizia e la location sarebbe stata in Germania non ho battuto ciglio: ho solo depennato dal preventivo mentale qualche voce tra i costi.
Risparmierò altri noiosi dettagli circa il viaggio; aggiungo solo che per essere abbastanza sicuro di riuscire nel mio intento sono arrivato davanti al locale alle 1230, di fatto sette ore e mezza prima di poter entrare: folle? Abbastanza, ma se non si fanno follie in questi casi, allora quando?

Ebbene, eccomi qua, undici anni dopo la mia risoluzione, sono al concerto della vita, suoneranno due tra i dischi che più amo e sono in prima fila come mi ero ripromesso. Quasi non ci credo, invece è tutto vero, lo testimoniano le telecamere che ci inquadrano da tutte le angolazioni. Ci danno dei bannerini da mostrare durante l’intro del primo pezzo, lo stage è grande il giusto con un drappo gigantesco dietro e un muro di Marshall di tutto rispetto. La sala è bella stipata, a quanto pare siamo in 1500 circa.

I The Haunted scaldano brevemente (causa ritardi) la platea, “Hate Song” quasi non fa in tempo a spegnersi che già c’è il cambio, rapido soundcheck e…il momento tanto aspettato, tanto sognato, tanto desiderato arriva: eccolo, lo sento, è palpabile. Mi aspetto una scaletta cronologica, e invece l’intro mi fa capire che vogliono tenere Feel the Fire per ultimo, iniziando quindi da Horrorscope.

Ora. Scordatevi un resoconto dettagliato o tecnico sull’andamento della serata. Qui si raccontano le emozioni, perché se siete fan almeno la metà di me sapete benissimo la resa degli Overkill live: uno schiacciasassi inesorabile.

E quindi metto a dura prova la mia resistenza già su “Coma”, mi ritrovo praticamente senza voce con “Infectious”, impazzisco su “Blood Money”, muoio e risorgo con “Bare Bones”: la maggior parte le ho già viste eseguite negli anni, ma vedersele proporre una in fila all’altra è tutt’altra cosa. Sulla titletrack vedo spuntare dalla nebbia DD Verni col basso a doppio manico, proprio quello che usava sul live dvd: per me è come la rivelazione della Madonna, dello Spirito Santo e di qualche Apostolo a caso, perché mai avrei sperato di vederglielo imbracciare ancora, a pochi metri da me. Questo “mostro” per me mitologico viene utilizzato ancora su “Solitude” a chiusura della prima parte dello show e durante il ritornello finale, conscio di aver assistito a qualcosa di unico, mi commuovo un po’.

A questo punto sarei già appagatissimo, se il concerto finisse ora non avrei niente da dire, e invece manca ancora il disco che 30 anni fa mise in moto tutto. Vengono eseguite vere perle, roba che non è mai stata suonata live o quasi, come “Raise the Dead”, “Second Son”, o “Kill at Command”: su quest’ultima Bobby pezza clamorosamente scordandosi un intero verso e facendo scena muta, ma io e tutti i convenuti gli avevamo perdonato qualsiasi errore ancora prima che salisse sul palco.

Il resto della scaletta la conoscete, che ve lo dico a fare: le classicissime “Rotten to the Core”, “Hammerhead” e “Feel the Fire” sugli scudi, e a chiusura (eh si, perché “Sonic Reducer” non l’hanno eseguita) l’immensa “Overkill”. Bobby è visibilmente provato ma c’è ancora spazio per la consueta “Fuck You”, dopodichè la band si eclissa, niente inchini o altri salamelecchi davanti alla telecamere, quasi fosse una data come un’altra.

Tutto finito, si accendono le luci, ritrovo il controllo di me stesso: è tempo di bilanci. Ho aspettato undici anni per due ore di show. Solo che non è stato uno spettacolo qualsiasi, qui la realtà ha superato il sogno, ho avuto quello che desideravo e anche di più.

Di live nella vita ne ho visti abbastanza da poter dire che qui per me si chiude un’epoca, niente potrà rivaleggiare con quello che ho assistito sabato sera nella piccola cittadina di Oberhausen. Forse assisterò ad altri concerti ugualmente grandiosi, ben preparati ed eseguiti, ma il tasso emozionale sarà certamente inferiore. Io ho visto gli Overkill suonare tutto Horroscope e Feel the Fire, data unica, ed ero in prima fila: ancora adesso ho i brividi.

Grazie per questi (primi) 11 anni assieme ragazzi.

Grazie a Nicolò Barovier

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