Metti un weekend a Londra a vedere gli Chic e i The Who..

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Il sogno sarebbe stato il titolo “Metti un weekend a Londra a vedere Blur, Chic e The Who”, ma 200 stronzi + Alessandro “Dio” Cattelan mi hanno fregato la possibilità di assistere al debutto di “The Magic Whip” a poche centinaia di metri da dove alloggiavo a West Kensington. Pagherete tutto, pagherete caro.

Sembrerà banale, ma se avessi il famoso fantastiliardo di sterline da parte andrei a vivere a Londra senza alcun dubbio. C’è tutto: enormi parchi in pieno centro cittadino (il mio preferito? Devo essere sincero? Regent’s Park), musei a non finire aggratis, una rete di trasporti che fa il gesto dell’ombrello all’intera rete pubblica nazionale, una delle più vive scene teatrali del Continente, il Cyberdog a Camden Town (dove puoi ascoltarti senza spendere un becco di un quattrino drum n bass anche in pieno giorno) e concerti ogni sera e in ogni dove. Sì, perché è impossibile non trovare un evento in tutto il territorio della Greater London nei vari giorni del calendario. Toh, saranno un po’ scarsi a Natale e a Capodanno, o in concomitanza di grandi eventi come Glastonbury e Reading And Leeds, ma sticazzi, si parla di dieci giorni di calendario su 365.

Dopo diverse trasferte fatte negli anni passati (ultimo giro la scorsa estate per Jack White e Black Sabbath), torno nella Perfida Albione per due eventi della stramadonna. Una cosa quasi last minute, scelta un mese fa per puro caso e per pura botta di culo: i The Who rinviarono a marzo le tappe londinesi in programma per Natale (già sold out.. con la notizia si liberarono diversi biglietti) e Nile Rodgers annunciò un breve tour in UK con gli Chic per presentare il nuovo singolo, con debutto alla Roundhouse di Londra proprio due giorni prima. 150 euro totali di biglietti, con il cambio euro/sterlina FOLLE di questi giorni, occasione per alloggio trovata su Booking una decina di giorni prima e un volo (non) pagato sfruttando una promozione di Volagratis. “Verso l’infinito e oltre“, disse Buzz Lightyear.

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Primo capitolo il 21 marzo alla Roundhouse di Londra, location perfetta grazie alla sua affascinante struttura architettonica (restaurata una decina di anni fa) e alle dimensioni intime (circa 3000 persone sold out), per gli Chic di Nile Rodgers. Per gli statunitensi è la seconda serata in 24 ore, replica del concerto della sera prima sempre alla Roundhouse a poche ore dalla pubblicazione del nuovo singolo “I’ll Be There”. E boh, loro sono dei grandi assoluti e Nile Rodgers un autentico guru della musica pop degli ultimi trent’anni. Sì, al punto che anche Quincy Jones può puppare tranquillamente.

La spiegazione è semplice: Nile Rodgers non si è limitato a fare la storia con gli Chic (“Everybody Dance”, “Dance Dance Dance”, “Le Freak” e “Good Times”, per citare i più famosi), ma ha messo le mani su una miriade di pezzi cult della musica popolare moderna, ultimo in ordine cronologico quel capolavoro di “Get Lucky” dei Daft Punk. Duran Duran, Diana Ross, Madonna, Sister Sledge, perfino David Bowie: icone assolute con le quali il sempre sorridentissimo musicista, accompagnato dalla fedele Stratocaster affettuosamente chiamata Hitmaker (di nome e di fatto), ha scritto pagine indelebili chiamate “Notorius”, “Like A Virgin” e “Let’s Dance”.

Gli Chic del 2015 sono una delle band più divertenti da vedere dal vivo: hanno il tiro, fanno ballare la gente dall’inizio alla fine, coinvolgono il pubblico con un groove dal quale non si può rimanere indifferenti e inoltre hanno anche la parte “impegnata”, nella quale Nile Rodgers racconta la sua battaglia vinta contro il cancro, lotta che lo ha spinto a dedicare anima e corpo alla musica “perché le brutte notizie mi hanno spinto a lavorare sempre di più e sempre meglio”. Una qualità che la band ha ancora oggi, ed emerge anche sul singolo “I’ll Be There”: un vero e proprio manabile di quarant’anni di musica di Nile Rodgers, un pezzo che potrebbe essere tranquillamente uscito tra la fine degli anni Settanta e inizio anni Ottanta. Nostalgia? Sì, cazzo, e va bene così.

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E i The Who, che hanno invece calcato il palco della leggendaria The O2 di Greenwich il 22 marzo? Rimandati a settembre. Anzi no, a giugno, quando una delle più grandi rock band inglesi di sempre presenzierà al centralissimo Hyde Park chiudendo una giornata che vedrà suonare, tra gli altri, Paul Weller, Kaiser Chiefs e Johnny Fuckin Marr.

La band di “Tommy” e “Quadrophenia” non ha esaltato per niente: i cinquant’anni si fanno sentire tutti e, purtroppo, di Mick Jagger ne nasce uno ogni cent’anni. Se dobbiamo dirla tutta, i tre mesi di pausa forzata sembrano aver tirato il freno ai britannici. Colui che è vittima della delusione più grossa, escludendo la backing band che lascia un segno nullo nella performance (senza infamia e senza lode), è Roger Daltrey, il cantante che fu la causa del rinvio dei concerti natalizi. Pur avendo uno stato di forma soddisfacente, è ancora lontano dall’essere al 100%: la presenza scenica c’è, la voce un po’ meno. Chi si ricordava un animale da palcoscenico che cantava di “sperare di morire prima di diventare anziano” si ritrova un 71enne poco frontman, tanto svociato (“My Generation” non pervenuta, per fare un esempio calzante) e ridotto a spalla comica di un vecchio leone come Pete Townshend.

Il chitarrista è il vincitore assoluto della serata: settant’anni suonati e non sentirli. Suona la chitarra in maniera divina (anche se qualche “stecca” se la porta a casa anche lui), propone anche quell’effetto mulino nel sparare i suoi riff che lo ha reso storia, e come cantante si dimostra più in forma dello stesso Daltrey. Inoltre ricopre anche il ruolo di intrattenitore, raccontando numerosi aneddoti sulla storia del gruppo e sulla nascita di alcuni pezzi, mostrando un inaspettato lato comico, aiutato anche dal già citato Daltrey nel ruolo di supporto (“Ci scusiamo per la cancellazione degli show di dicembre“, “Siamo in ritardo!“).

La scaletta? Leggendaria. Leggermente più corta rispetto a quella di fine 2014 (saranno tagliati almeno due pezzi), è un vero greatest hits che racchiude in poco più di due ore il meglio di cinque decenni di carriera. “Who Are You”, “The Kids Are Alright”, “My Generation”, “Behind Blue Eyes”, “Amazing Journey”, “Pinball Wizard”, “See Me, Feel Me” e il trittico finale “Baba O’Riley”, “Won’t Get Fooled Again” e “Magic Bus”. Impossibile deludere il pubblico con una sequela di pezzi di questo calibro, anche il fan dell’ultima ora ti perdona il più svarione degli svarioni, si alza in piedi e inizia a ballare e muovere il culo. Come la tipa che mi son trovato davanti e che in più di un passaggio, soprattutto nella conclusiva “Magic Bus”, mi ha distratto dalla visione del palco. Scusatemi, è stato più forte di me.

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