L’allontanamento di Ian Gillan dopo il disastroso Born Again Tour (che ispirò anche “This Is Spinal Tap”), portò lo sconforto nei fan del Sabba, così come all’interno della band. Dio aveva ridato linfa ad un combo sull’orlo del precipizio, ma i suoi diverbi coi restanti membri resero impossibile il proseguimento di un matrimonio che sembrava nato per durare.
Dopo quindici anni in cui aveva cambiato per sempre il modo di intendere la musica dura, il chitarrista prese così l’ultima defezione come un segno del destino, optando per la prima fatica solista circondato da turnisti e da voci amiche come quelle di Rob Halford, Glenn Hughes e con lo stesso Dio, con il quale aveva recuperato i rapporti di un tempo. Purtroppo, le case discografiche implicate rovinarono i sogni di Iommi, imponendo un nuovo lavoro a nome Black Sabbath, concedendo ai baffi più famosi del rock la scritta “featuring Tony Iommi”, quasi un contentino per un musicista che aveva creato alcuni dei riff più celebri degli ultimi vent’anni…Il risultato finale fu “The Seventh Star”, un album nel complesso molto gradevole, ma che poco aveva a che spartire con il passato dei Sabbath. Il fatto che fosse nato come disco solista giustifica la varietà dei brani che, alla fine, vennero lasciati completamente nelle mani di Glenn Hughes. L’ex Purple non arrivò all’impegno nel pieno delle proprie condizioni psicofisiche, rendendo il successivo tour un vero calvario, ma in studio fu protagonista di una grande prova. Il live annesso alla nuova edizione rende comunque giustizia anche a quel tour o perlomeno fa vedere che, quando “The Voice Of Rock” era nel pieno delle proprie facoltà, poteva cantare pezzi di ogni epoca del gruppo.
Hughes fu il secondo ex Deep Purple consecutivo a lasciare i Black Sabbath, ma la cosa, invece che deprimere Iommi, lo convinse che l’avventura potesse andare avanti anche con singer sempre differenti. Per questo, quasi a sorpresa, ingaggiò il misconosciuto Ray Gillen per il successivo “The Eternal Idol”. Dopo aver registrato l’intero album, anche Gillen decise di abbandonare l’avventura, quasi come se una maledizione aleggiasse sul combo dopo l’addio degli addi, quello di Ozzy alla fine degli anni ’70. Arrivò quindi un altro volto poco noto della scena musicale inglese, il giovane Tony Martin, dotato di una voce potentissima in grado di cantare su registri differenti ed in particolare su quelli di Dio. Iommi ancora non lo sapeva, ma aveva appena trovato il singer che avrebbe cantato nel maggior numero di album dei Black Sabbath dopo Osbourne. “The Eternal Idol” è un grande album hard rock, più pesante del precedente e concepito fin dall’inizio per uscire con lo storico moniker. La prova del nuovo componente convinse tutti e diede grande entusiasmo a tutto l’ambiente, che se apprestava ad assistere alla nascita dei due album migliori della band dai tempi di “Heaven And Hell”: “The Headless Cross” e “Tyr”. La nuova versione, oltre ad essere stata rimasterizzata, contiene le session dell’album effettuate da Gillen, cosa che rende il prodotto una chicca imprescindibile per ogni fan del più grande gruppo hard rock della storia della musica.
Luca Garrò