San Francisco, California: nel cuore della musica live

Chiamatela esterofilia o la classica cosa dell’erba del vicino, che è sempre più verde, ma assistere a concerti sulla West Coast degli Stati Uniti ha tutto un altro sapore. Nel giro di tre sere, in quel di San Francisco, ho potuto assistere a tre show di artisti passati più o meno recentemente dal nostro paese, ma in un contesto che nulla a che fare con le location e l’organizzazione italiche. Red Hot Chili Peppers, Crosby Stills e Nash e Bob Mould, tre diverse concezioni dell’America e tre proposte musicali per molti versi distantissime, ma unite da un senso di partecipazione e libertà incredibili, senza tutti gli aspetti negativi con cui siamo abituati a convivere e in luoghi che definire suggestivi appare tremendamente riduttivo. A colpire maggiormente del concerto della band di Anthony Kiedis e compagni è stata in particolare l’organizzazione: lo show si è tenuto in una delle principali piazze della città, affollata da migliaia di paganti, ma anche di altrettante persone senza biglietto, che hanno potuto assistere al concerto grazie ad enormi maxi schermi posti lungo tutta la piazza. Band impeccabile, nonostante le ormai note stonature di Kiedis, che perde qualche punto rispetto al recente passato. Diverso il discorso per CS&N e Bob Mould, i cui show si sono svolti al leggendario Fillmore, che non sarà più l’originale teatro anni sessanta, ma che ha fatto in tempo a vedere praticamente chiunque tra le sue pareti. I primi, tra i maggiori esponenti di quel West Coast sound che tra la fine degli anni sessanta e l’inizio del decennio successivo regalò alcuni degli album più celebri della musica popolare americana, sembrano davvero vivere una terza o quarta giovinezza: ogni volta dati per finiti e regolarmente in grado di smentire chiunque. È vero, Young non si vede da qualche anno, ma i tre nonni riescono ancora ad emozionare grazie ad una serie di classici che in pochi possono permettersi.  Infine il buon Mould, fresco di tour insieme all’amico e discepolo Dave Grohl e dell’album più elettrico da qualche anno a questa parte: Bob è un’ira di Dio, incazzato come a vent’anni e con la classica amarezza acuita dagli anni che passano. Il tour è ancora quello di Copper Blue, ma rispetto alla data di Codroipo è il pubblico a fare la differenza, cantando ogni pezzo e impazzendo completamente sul finale tutto Hüsker Dü, mancato un po’ nelle date di supporto ai Foo Fighters. Insomma, chiamatela esterofilia, ma non c’è davvero paragone…

Luca Garrò

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