Non è che questa sia davvero una lettera aperta, non sono neanche sicuro abbia senso il concetto di lettera aperta con il quale tentiamo di deframmentare tutte le puttanate sparse per il web. Non mi interessa neanche molto il fatto che scrivere un pezzo sugli U2 a poche ore dall’inizio del tour europeo possa portare alla mia testata dei vantaggi di posizionamento in vista del report di domani. Di base ne scrivo perché voglio farlo e perché tanto qui nessuno me lo impedirà.
Ragazzi, odiarvi è davvero facile. Penso che neanche i fratelli Gallagher siano stati bravi quanto voi nell’ispirare bambole voodoo. Lo scorso anno ho visto più gente indignata per il vostro album apparso magicamente nel proprio iTunes che protagonisti di Ice Bucket Challenge. Ho sentito parlare di violazione, di lesione della libertà culturale. In effetti, come vi permettete di mettere un disco pop rock nell’iPod di un amante della techno o di un cultore del doom metal?
Io in tutto questo ho pensato di essere stanco di volervi difendere, di voler spiegare che non me ne frega un cazzo se siete i migliori investitori che il mondo della musica abbia mai visto, se avete spostato le vostre royalties dall’Irlanda all’Olanda per infinocchiare il sistema di tassazione del vostro Paese. Che l’hanno fatto anche gli Stones con largo anticipo e che a loro era concesso perché sporchi, cattivi e lussuriosi. Ma voi volete fare i santi paladini senza mai camminare scalzi, questo le persone non lo accettano. Poi oh, andate a rompere i coglioni ai governi di tutto il mondo per salvare l’Africa, ma intanto vi fate le vacanzone, vi comprate i villoni, girate con i macchinoni. Neanche foste delle fottute rockstar.
Dai diciamocelo, avreste potuto farvi i cazzi vostri e continuare a suonare sui tetti dei palazzi paralizzando intere città dall’altra parte dell’Oceano e non immischiarvi in questo promiscuo liquame socio-politico. Chi ve l’ha fatto fare? Chi ve lo fa fare tuttora?
E preferirei non parlare di quella storia del Super Bowl. Insomma, dopo l’11 settembre, una lancia nel costato degli Stati Uniti d’America, voi, una band europea, vi siete presi la responsabilità di occupare lo spazio televisivo più importante del pianeta. Ma chi vi credevate di essere?
Si dice vi interessi solo mettervi in mostra e continuare a vendere la vostra musica.
In fondo la paura dell’irrilevanza è oggi un vostro vessillo. La sbandierate come negli anni Settanta si sbandieravano le malattie veneree.
Anche questa cosa del progresso, dell’innovazione, ecc ecc. Ma vi rendete conto che mentre andavamo tutti a vedere “San Valentino Di Sangue in 3D” al cinema, annoiavo i miei amici con la storia che voi già nel 2003 stavate sperimentando quella tecnologia e che il vostro “U23D” è stato il primo live-action in 3D di sempre. Avrei potuto essere quello che nella scena delle tette che escono fuori dallo schermo urlava “SCOPAAARE” e invece ero quello che faceva il saputello su una band di antipatici.
Avete definito (o forse dovrei dire ridefinito, nel caso in cui qualche bacchettone volesse ricordarmi chi è venuto prima) il moderno concetto di svolta pop. Nessuno ha mai saputo gestire una svolta pop come l’avete fatto voi, nessuno ha mai deciso di farlo subito dopo aver salvato il rock ‘n’ roll. Però, giustamente, alla gente mica sta bene che Bono sia stato candidato per il premio Nobel per la pace. Vi pare il caso che il Time Magazine lo abbia messo in copertina con la frase “Can Bono save the world?”. Dicono sia istigazione alla megalomania, mica roca da poco.
Troppi riconoscimenti dai. Per esempio: sappiamo tutti che farsa è diventata la Rock And Roll Hall Of Fame e voi siete stati introdotti al primo anno di eleggibilità. Vi pare una cosa accettabile? Per non parlare poi di quella messinscena che sono i Grammy Awards, di cui avete vinto il maggior numero di riconoscimenti.
E poi ancora, come se non bastasse, avete ottenuto tutti i consensi possibili e immaginabili nei migliori anni della carriera. Troppo facile così! Non siete mica Nick Drake che è stato rivalutato parecchi anni dopo la sua dipartita e parlarne adesso è un terno al lotto a numeri scoperti. Si cucca un sacco tirando fuori “Pink Moon”, comprovato. Se ti metti a parlare di “Achtung Baby” invece scatta matematico il “ma tanto gli U2 sono morti dopo “Pop””.
Avete spinto una gemma della cultura italiana come Federico Fiumani a scaccolarsi sull’editoria (so che non vuol dire nulla questa frase, ma a furia di parlare di voi divento pretenzioso anche io) con un bellissimo libro di poesie dal titolo “Odio Bruce Springsteen e gli U2”, permettendo a intellettualoidi di interpretarlo come un via libera verso l’astio colto. A questo punto diventa pure inutile raccontare di come abbiate sfiorato l’avanguardia aprendo voi stessi i vostri concerti sotto mentite spoglie. Non regge una storiella così, è solo polvere sui soprammobili.
Praticamente a questo punto non ha neanche più importanza il fatto che da quando Larry Mullen decise di mettere in piedi una band in una scuola di Dublino, nel 1976, siate sempre rimasti insieme. Siete Paul David Hewson, David Howell Evans, Adam Clayton e Larry Mullen Jr, da sempre. Di sicuro c’è qualche altra band che ha ottenuto un risultato simile, è solo la mia ignoranza ad impedirmi di tirare fuori un nome, ma altrettanto sicuramente nessun altro ci è riuscito ottenendo tutto questo. Vendendo 150 milioni di dischi, ispirando centinaia di band di successo nei decenni successivi alla vostra ascesa, portando in giro per il mondo i più imponenti tour della storia. Nessuno. Però, vi dico la verita, non fotte proprio a nessuno secondo me.
Ve lo dico: ad un certo punto ho proprio smesso di commentare, tanto le invettive contro Bono tra i cultori della “musica dei valori” sono diventate come le morbide Fruit Joy a cui resistere non puoi: “devi devi devi devi devi masticaaaar”. E la gente mastica, si fa dei bocconi con le vostre vicissitudini extra-artistiche che digerirli è sempre una fatica. Così avete iniziato a stancarmi.
In passato la vostra musica mi ha aperto ferite, ne ha rimarginate altre, ma con le persone finisco sempre a parlare dell’ipocrisia e del marketing. Mentre io vorrei raccontare di quando da bambino, mentre guardavo la mia amata sitcom Friends e cercavo di capire qualcosa di questo strano mondo dei rapporti interpersonali, ho sentito “With Or Without You” e ho visto la bella baciare lo sfigato. E pur giocando ancora con gli Action Man ricordo di aver pensato che non sarei stato in grado di capire quanto amore ci fosse in quella scena se non ci fosse stata quella ballata in sottofondo. Sapevo con limpida certezza che nessun’altra canzone al mondo avrebbe potuto sostituirla, anche se a quei tempi conoscevo a malapena la sigla di Ken Il Guerriero e la filastrocca dello sceriffo-ffo-ffo.
Piuttosto che parlare di come abbiate deciso di limonarvi la Apple, vorrei far vedere alle persone il video di quell’esibizione al Super Bowl e raccontare di come quel gesto di aprire la giacca e mostrare la bandiera americana mi abbia emozionato. Nato e vissuto in Italia, io, ultimo degli stronzi, mi sono sentito parte del dolore di una nazione e ho percepito una mano sulla mia spalla, mentre il riff di “Where the Streets Have No Name” continuava a trascinarmi in salvo.
Non fa neanche più presa la storia di Freddie Mercury che dopo la vostra esibizione al Live Aid dell’85 (forse il più grande evento musicale da cui occhi e orecchie umane hanno mai potuto trarre godimento) ha tentato l’approccio con Bono, manifestando una totale stima nei suoi confronti. Perché i Queen in quell’occasione stabilirono un’egemonia pressoché totale su tutto il meglio della musica internazionale con un’esibizione indimenticabile e insuperabile, ma voi vi posizionaste subito dietro, stupendo il mondo. E fu così che riusciste a guadagnarvi la fama incontrollata, con una versione estesa di “Bad” lunga 12 minuti, mentre il vostro giovane frontman andava tra il pubblico a danzare con una donna. Così, non con il marketing.
Ma sapete quanto mi urta dovervi giustificare? Non potrei semplicemente raccontare di come cinque anni fa, nella mia città, ho visto un concerto dal vivo per la prima volta? Con un enorme artiglio al centro di uno stadio, con decine di migliaia di persone a idolatrare e cantare, eppure con in testa, negli occhi e nel cuore solo note e parole. Quella volta di cinque anni fa in cui ho deciso che, pur non suonando, la musica sarebbe stata parte attiva della mia vita e ho deciso di continuare a divorare live senza saziarmene mai. Oggi scrivo per tre testate giornalistiche musicali, vedo quasi cento show all’anno e sono il primo a dire che voi quattro irlandesi un po’ mi fate incazzare. Eppure oggi, sempre a Torino, sempre nella mia città, con cinque anni in più e la superbia di conoscere ormai il mondo della musica dal vivo, sono ancora una volta emozionato. Emozionato all’idea di rivedere un concerto gli U2.